Roma, 6 lug – Lo smart working? Un problema più che una risorsa. “Le persone che hanno lavorato da casa mentre vivevano da sole hanno riportato maggiori aumenti di disagio mentale rispetto ad altri lavoratori dall’inizio della pandemia”. E’ quanto rilevato nello studio della NatCen Social Research, la più grande organizzazione di ricerca sociale indipendente del Regno Unito. Lo studio ha coinvolto raggiunto 8675 persone interpellate prima della pandemia e nuovamente consultate a maggio, luglio e infine novembre 2020.
Smart working, l’ignorato aumento del disagio mentale
Nella ricerca in questione si sottolinea: “Il lavoro da casa è stato associato a maggiori aumenti del disagio mentale anche se questi accordi lavorativi sono diventati la ‘nuova normalità‘”. E “quando si controllano le caratteristiche demografiche, le circostanze finanziarie e la solitudine delle persone, gli aumenti di disagio mentale sono stati significativamente più alti in coloro che lavorano da casa, indipendentemente dalle loro condizioni di vita a maggio, luglio e novembre 2020”. Ciò detto, dallo studio inglese emergono le maggiori difficoltà economiche tra coloro che “non hanno potuto lavorare da casa”. Questo in buona parte può essere dovuto al tipo di lavoro svolto che in certi casi non permetteva lo smart working per ovvi motivi. Si pensi ai commercianti, ai ristoratori, agli operai.
Lavoro da casa, le altre implicazioni
Mentre “l’isolamento sociale era più sentito tra le persone che vivevano da sole, indipendentemente dalla loro organizzazione lavorativa”. E’ chiaro infatti che il lavoro da casa in questi casi abbia stracciato la socialità, facendo sentire le persone estremamente sole e isolate. Abbandonate a se stesse, in preda all’incertezza. Nessuno sapeva difatti quanto sarebbero durate le chiusure, e questa indeterminatezza ha pesato non poco.
“Ciò suggerisce – si legge nello studio della NatCe Social Research – che ci sono diversi percorsi attraverso i quali la salute mentale della popolazione è stata colpita durante la pandemia e non esiste un unico rimedio per affrontare questi problemi”.
C’è poi il fattore più ovvio eppure volutamente celato da chi continua a tessere le lodi dello smart working aprioristicamente: quello relativo all’aspetto sociale del lavoro. Il lavoro da casa porta all‘atomizzazione del tessuto lavorativo, ovvero alla perdita di contatti umani che costituisce la consapevolezza stessa da parte dei lavoratori dei propri diritti.
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Come specificato dai ricercatori inglesi è quindi fondamentale capire e far capire (anche alle istituzioni) le implicazioni pratiche tra ambiente di lavoro da casa e necessità di disconnettersi dal lavoro “prima che i datori di lavoro diano per scontato che lavorare da casa sia egualmente desiderabile per tutti”.
Alessandro Della Guglia
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