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Nuove polemiche e vecchie scuse sul caso Khelif

by Michele Iozzino
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Roma, 7 nov – Quella sul reale sesso biologico del pugile algerino Imane Khelif era stata una delle polemiche più discusse delle scorse Olimpiadi, ora sarebbe emerso un nuovo tassello del puzzle: un documento clinico afferma che si tratta di un uomo con un disturbo ormonale.

Le nuove indiscrezioni sul caso Imane Khelif

“Sei donna oppure uomo, io non l’ho mai capito”, cantavano anni fa gli Intolleranza. I dubbi sul Khelif sono parecchi e forse non saranno mai risolti del tutto. Per l’International boxing association (Iba) è un uomo, per il Comitato olimpico internazionale (Cio) una donna. Nel mezzo c’è di tutto, da accuse geopolitiche alla cappa del politicamente corretto, dalle rivendicazioni intersex fino a quelle post-coloniali. A mettere altra carne sul fuoco ci ha pensato un articolo, apparso su un sito francese, che riporterebbe alcuni documenti medici redatti nel 2023 dall’ospedale Kremlin-Bicêtre di Parigi, Francia, e dall’ospedale Mohamed Lamine Debaghine di Algeri, sotto la supervisione degli endocrinologi Soumaya Fedala e Jacques Young. Attraverso esami biologici, radiologici e genetici, questi ultimi sarebbero giunti alla conclusione che Khelif sia un uomo affetto da un particolare disturbo della differenziazione sessuale (dsd), ovvero un deficit della 5-alpha reduttasi che avrebbe comportato una disfunzione ormonale e uno sviluppo solo parziale degli organi maschili. Quindi non una donna con iperandrogenismo dovuto alla sindrome dell’ovaio policistico, come qualcuno aveva paventato.

Quello che non torna e le ipocrisie del politicamente corretto

L’articolo in questione è stato bollato abbastanza rapidamente come una fake news, in quanto l’autore sarebbe sconosciuto anche agli addetti ai lavori e non ci sarebbero conferme dei documenti citati. Khelif ha promesso azioni legali in merito. Un portavoce del Cio ha difeso l’atleta e affermato che il Comitato olimpico “si impegna a proteggere i diritti umani di tutti gli atleti che hanno preso parte ai Giochi olimpici”, ricordando come Khelif abbia “rispettato i requisiti di ammissibilità e i regolamenti di ammissione della competizione”. Criteri che, nel caso specifico, significavano guardare cosa ci fosse scritto sul passaporto. Mettere in dubbio il genere con il quale qualcuno si rappresenta è diventato un peccato mortale, verificarne il sesso un abuso da medioevo, così con tutta probabilità la verità su Khelif non la sapremo mai. Tuttavia è divertente vedere gli alfieri della post-verità, per i quali tutto o quasi è un “costrutto sociale” e i dati concreti vanno ignorati quando urtano la propria autorappresentazione, diventare della specie di logici tomistici non appena si tratti di far passare per false le verità degli altri.

Michele Iozzino

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