Roma, 14 febbraio – Ventuno anni senza Marco Pantani: il corpo del Pirata fu ritrovato senza vita proprio nella serata di San Valentino. Era il 2004, una morte – quella del campione romagnolo – che non ha ancora trovato giustizia.
Il Pirata romagnolo
Ventuno anni senza Marco Pantani. C’è un cielo plumbeo questa mattina sulla sua Cesenatico. La volta celeste sembra non abbia nemmeno più voglia di piangere. Piove, ma quasi con rispetto. Sul porto canale leonardesco, nello slargo della piazza che porta il soprannome del patriota Ciceruacchio – e a pochi metri dal monumento ad Anita e Giuseppe Garibaldi – troviamo un perimetro quadrato di mattonelle.
Sono le fondamenta – venute alla luce solamente ad inizio millennio – della Torre Pretoria. Progettata dal Masini sul finire del sedicesimo secolo fu distrutta nel 1809 da un bombardamento della flotta inglese. Il presidio militare era alto diciotto metri e fungeva da punto di osservazione sul mare. Era il tempo dei pirati. Così per uno strano scherzo del destno diverso tempo dopo, proveniente sempre dal mare, un altro pirata – bandana in testa e tremenda voglia di vincere in corpo – assaltava i tornanti più ripidi delle montagne italiane (ed europee).
Più che un ciclista Marco Pantani seppe essere un atleta che diventava una cosa sola con la sua bicicletta. In piedi su quei pedali lo sguardo velatamente malinconico lasciava spazio ad occhi rabbiosi, quasi spiritati. Volti a raggiungere quel maledetto traguardo. Per tagliarlo prima di tutti.
Marco Pantani, l’uomo e il campione
A tratti invincibile sulle due ruote, un uomo “normale” nella vita borghese. Ci si può quasi rispecchiare nel fulmineo passaggio terreno di Marco Pantani: gli obiettivi da perseguire – a cui tutti nel nostro piccolo puntiamo – e le fragilità proprie di ogni essere umano. Salite e discese, picchi esaltanti e rovinose cadute. Anche chi non seguiva il ciclismo si è interessato appassionatamente alle sue gesta: caso più unico che raro nel panorama del pallone, ancora oggi la curva del Cesena lo ricorda a cadenza annuale.
La sera del 14 febbraio 2004, notte degli innamorati, un velo di nebbia copriva la costa romagnola. La notizia si diffuse ben presto a macchia d’olio, nonostante non si fosse ancora nell’era dei social. Era un sabato: in questo stridente contrasto il semidio del ciclismo, venerato dalla sua gente, aveva lasciato la vita terrena in completa solitudine. Ventuno anni senza Marco Pantani, senza giustizia. Ma, notizia di queste ore, il caso potrebbe riaprirsi.
Le indagini della Procura di Trento
La Procura di Trento, infatti, dopo aver ottenuto dagli uffici del pubblico ministero di Rimini, Forlì, Roma e Napoli gli atti già presenti, sta indagando per “associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle scommesse clandestine e collegata al decesso del ciclista”.
Le zone d’ombra sono tante: come i controlli – sempre perfetti – fatti nei giorni antecedenti a quel maledetto 5 giugno 1999 e nelle ore immediatamente successive. O come il numero della fialetta, né progressivo né anonimo: il preciso 11440, apposto alla presenza di più persone. Scommesse clandestine, per riassumere il tutto con due semplici parole. Mancava una solo tappa al termine del Giro d’Italia e i sei minuti di vantaggio accumulati da Marco Pantani si palesavano come un ostacolo insormontabile per qualsiasi ciclista. Ma non di certo per i tentacoli di una piovra senza pietà.
Ventuno anni senza Marco Pantani. Il tristemente famoso residence “Le Rose” non esiste più, come se le divinità avessero voluto cancellare questo sfregio fatto al volto migliore dello sport italiano. Rimane la tomba, meta continua di pellegrini laici: nella piccola cappella di famiglia il tempo sembra essersi fermato. Succede solo ai grandi della storia, ai mostri sacri del passato. Non c’è più l’uomo, il campione è rimasto per sempre.
Marco Battistini