Roma, 26 gen – Juan Roman Riquelme all’età di 36 anni dice addio al calcio. Dopo 583 partite e 149 gol fra club e Nazionale, “el ultimo diez”, come lo chiamano in Argentina, ha annunciato ai microfoni di Espn la sua scelta di abbandonare il calcio: “Giocare a calcio è la cosa più bella che ci sia – ha dichiarato – ho avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piace. Mi sono divertito tanto e ho lasciato tantissimi ricordi, ma ho preso una decisione: smetterò di giocare a calcio. Ho avuto la fortuna di vincere un Clasico, è una cosa davvero incredibile. Ed è difficile scegliere quale sia stato il più bello. Per me nella prima divisione argentina esiste solo una maglia, quella del Boca. Con questa maglia ho vinto tanto, ho realizzato tutti i miei sogni, ora tocca agli altri”.
Riquelme è forse l’emblema di un calcio che non c’è più. Non tanto, o non solo, per il suo amore incondizionato per il Boca Juniors, quanto per l’idea di calcio che ha rappresentato. Un calcio più lento e meno tattico, dove il genio, il numero 10, aveva il compito di provare i suoi colpi ed affacciarsi solo di rado nella sua trequarti; la sua missione era quella di incantare, illuminare, far correre la palla più che correre lui stesso. L’attenzione ai compiti tattici, la cura della fase di non possesso, il pressing sull’avversario erano concetti quasi astratti per il fantasista. La sfortuna di Riquelme è stata quella di giocare a cavallo tra il ’90 e il 2015, il periodo in cui il calcio ha deciso di andare a 100 all’ora. Troppo veloce per un’artista come lui, amante di tunnel e tocchi raffinati più che di scatti da centometrista. Jorge Valdano ha forse usato le parole più belle per descrivere il suo modo di fare calcio: “Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un’autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi.”
Più artista che atleta, più fedele alle ragioni del cuore che a quelle del portafogli, “el ultimo diez” resterà un idolo per gli amanti della giocata spettacolare, del tocco educato, del gesto esaltante e irriverente. La sua carriera potrebbe racchiudersi in un’istantanea: 24 maggio 2000, Superclasico contro il River in Copa Libertadores; Riquelme riceve palla sulla fascia destra all’altezza della linea di centrocampo, Yepes lo prova ad affrontare, lui, in torsione, sfiora la palla con la suola e la fa passare in mezzo alle gambe del difensore. La Bombonera esplode. Da quel giorno, per molti, sarà “el mejor caño de la historia”.
Rolando Mancini