Roma, 12 mar – Si fa presto a dire mens sana in corpore sano. Più arduo, senza dubbio, metterlo in pratica. Eccellere nelle materie letterarie, filosofiche, spirituali e primeggiare in quelle propriamente fisiche è cosa da chi – ça va sans dire – decide di fare della propria vita un’opera d’arte. L’avrete capito, ogni riferimento a Gabriele D’Annunzio è puramente intenzionale. Come se non bastassero arti, guerra, politica e donne nel suo vivere indimenticabile, il Vate si distingue pure nelle discipline motorie: non a caso nel giugno 1922 è la Gazzetta dello Sport a eleggerlo “Sportivo dell’anno”, menzionando il Principe di Montenevoso per le gesta aviatorie che hanno esaltato lo sport come mezzo attraverso il quale vincere la guerra (anche) senza ricorrere a strumenti di morte.
Gabriele D’Annunzio sportivo: la sfida al letterato sedentario
Stiamo parlando ovviamente del “folle volo” su Vienna, impresa con la quale, nell’agosto di 4 anni prima, al comando della sua squadriglia ricopre la capitale asburgica di volantini, salutando gli austriaci con “i tre colori della libertà”. Ma prima del dominio sull’elemento etereo, il destreggiarsi in quello acqueo: se la beffa di Buccari è da ritenersi azione propriamente bellica, sappiamo che il giovane D’Annunzio non perde occasione per tuffarsi nelle amarissime acque dell’Adriatico. Tanto da raccontare in una sua probabile iperbole di averlo attraversato a nuoto da Pescara fino a Traù, città costiera della Dalmazia centrale. In seguito arriverà l’interesse per motonautica e canottaggio (ribattezza le regate in “agonali del remo”).
Cultura sportiva, pratica quotidiana
Ma le passioni sportive furono senza dubbio legate altresì alla terra. Ancora bambino nelle scuderie di famiglia nasce il forte interesse per l’equitazione: un baio sardo, poi tra gli altri un arabo bianco e un pony morello, con il quale ama andare a caccia di volpi. Proprio cavalcando il Vate trova la sua “prima morte”, un’originale trovata pubblicitaria quando diciassettenne decide di promuovere la raccolta Primo vere.
Poetica, coraggio ed esercizio fisico. Un atleta – dal greco âthlos, ossia lotta – che si afferma misurandosi con se stesso. Dalla ginnastica a corpo libero (che nei propri appunti raffigura personalmente) al pugilato, passando per la scherma. Poi il tennis e le bocce, entrambi spesso e volentieri in compagnia del gentil sesso.
Non solo pratica: il calcio e le ruote
Oltre la pura pratica, particolare il rapporto con l’ancora sconosciuto calcio: nel 1887 riceve in dono un costoso – e pesante (circa un chilo) – pallone cucito a mano proveniente da oltremanica. Sulla spiaggia di Francavilla un rimbalzo improvviso gli scheggia due denti e nonostante il pallone non lo appassioni poi così tanto, dal suo genio nasce quello scudetto che oggi troviamo sulle maglie della nazionale e delle squadre campioni d’Italia.
Da Fiume, città di vita dove viene istituito l’ufficio per l’educazione fisica e lo sport, a Gardone Riviera. Dalla sfera di cuoio all’automobile che, grazie al Vate, è femmina, in quanto possiede “la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice”. Amante dei motori – e, pare, delle multe per “indebita velocità” – nel 1932 omaggia Tazio Nuvolari con un talismano d’oro, l’ormai famosa tartaruga recitante “All’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”. Quattro anni più tardi, sempre sulle sponde del Benacus, premia Gino Bartali, vincitore di un’importante tappa del Giro: una medaglia e soprattutto 21 colpi di cannone dalla nave Puglia perché “tutte le vittorie devono essere salutate col fuoco”. Eccolo lì l’elemento originario, il fattore mancante, la quadratura del cerchio. Un D’Annunzio votato all’eccellenza anche quando si parla di sport: proprio al Vittoriale l’uroboro – emblema di perfezione – è un simbolo che torna più volte.
Marco Battistini