Roma, 24 lug – La storia, si sa, viene scritta dai vincitori. Un paradigma immutabile del comportamento umano: semplicemente, così è sempre stato e così sempre sarà. Nello sport ad esempio ricordiamo chi, in una particolare sfida o in un determinato torneo, si classifica come primo. Il vincitore, appunto. Ma – la saggezza popolare insegna – ogni regola, per essere confermata, ha bisogno di un’eccezione. Singolarità che proprio il 24 luglio (del 1908) assume nome e cognome italiani: quelli di Dorando Pietri.
Nato nell’ottobre 1885 sul versante settentrionale della Via Emilia, nei primi anni del ‘900 questo minuto ragazzo è un semplice garzone appassionato di corsa. A Bologna – siamo sul finire del 1904 – partecipa alla prima competizione ufficiale, una gara sui 3.000 metri di distanza. Arriverà secondo, come se in quel battesimo agonistico fosse preceduto dal suo stesso destino.
Dorando Pietri, il mattatore delle lunghe distanze
E’ l’inizio di una carriera che lo vede trionfante sia in patria che all’estero: l’anno successivo è a Parigi, dove con 6 minuti di vantaggio vince una 30 chilometri. Con l’olimpiade del 1908 entra però nelle cronache mondiali, tanto da guadagnarsi la ribalta anche oltre l’oceano Atlantico. Proprio in America sfida e batte ripetutamente il padrone di casa Hayes. Anche su fondi insoliti, come può essere il mini circuito del Madison Square Garden di New York. Si ritira appena ventiseienne dopo aver disputato decine di gare – e racimolato una bella cifra di denaro.
I giochi olimpici del 1908
Ma Dorando Pietri il suo posto nell’olimpo del podismo lo conquista con i suddetti giochi londinesi. Non vincendo la maratona, bensì subendo una beffarda squalifica. Il castello di Windsor – sede della partenza – dista dallo Stadio Olimpico 26 miglia (41.843 metri): per permettere di posizionare l’arrivo sotto al palco reale gli organizzatori sono costretti ad allungare il percorso di circa 352 metri. Proprio quest’ultimo tratto si rivelerà fatale al nostro.
Dopo aver accumulato un considerevole vantaggio sul resto degli inseguitori l’emiliano conquista la testa a pochi chilometri dal traguardo. Quella giornata inglese di fine luglio è però insolitamente calda e Dorando va in crisi nei 500 metri conclusivi. Dieci interminabili minuti in cui cade e si rialza più volte: taglia per primo il traguardo solamente grazie al galeotto aiuto del giudice di gara e di un medico. L’oro, dopo la squalifica dell’italiano, andrà proprio allo statunitense Hayes. Una drammatica sconfitta che al contrario lo consegnerà alla storia.
“Nessun romano antico seppe cingere il lauro della vittoria alla sua fronte meglio di quanto non l’abbia fatto Dorando”, la benedizione ricevuta da un giornalista del Daily Mail, un certo Arthur Conan Doyle. Non solo il padre di Sherlock Holmes rende omaggio all’italiano: riceverà infatti in dono dalla regina Alessandra una speciale coppa d’argento dorato che la stessa pronipote reale Elisabetta II ha voluto omaggiare nel 2018.
Il maratoneta in camicia nera
Il precoce abbandono dell’attività agonistica – ma anche il fatto di esser stato riformato durante la Grande Guerra – è riconducibile a problemi cardiaci che, complice anche l’usura derivante dall’estenuante attività fisica, ne fiaccarono il fisico.
Tessera 47.363 dei Fasci di combattimento, dal marzo 1921 partecipa a diverse azioni squadriste nel territorio carpigiano. Un’adesione – quella al movimento mussoliniano – tanto sconosciuta (oggi al grande pubblico) quanto convinta. Durante il ventennio riceve diversi incarichi dalla Federazione italiana di atletica leggera e, nel 1936, la nomina a Cavaliere della corona d’Italia. “Non dimenticarsi che voglio mi sia messa la camicia nera con la sciarpa di campione italiano, vinta a Vercelli”: così fu, qualche anno più tardi quando tagliò il definitivo traguardo di questa vita terrena.
Marco Battistini
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