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“Doping di Stato in Russia”: ciò che non quadra nell’inchiesta della Wada

by Lorenzo Cafarchio
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Mosca, 11 nov – Continua a far discutere l’attacco dell’Agenzia antidoping alla Russia.

Ma quello che sembra l’ennesimo attacco al marcio dello sport ha il retrogusto di attacco politico. La Russia, sicuramente non avrà un meccanismo infallibile di controllo dei propri atleti, ma arrivare a parlare di alterazioni a livello di Stato sembra assurdo.

La Wada è una struttura autoreferenziale costruita per controllare se stessa e gli enti che vi fanno capo, non viene passata al setaccio da un terzo organismo, che dovrebbe esistere ed essere autonomo e non coinvolto direttamente. La pietra è stata scagliata da un reportage della Tv tedesca Ard, poi raccolta da Dick Pound, avvocato canadese ed ex numero uno dell’agenzia, che vuole ergersi a paladino di un’atletica pulita. Peccato che alla vigilia di Pechino 2008, quando i rappresentanti della nazionale cinese sono spariti dal radar dei controlli, nessuno si sia indignato muovendo mari e monti come in questo caso.

Possiamo essere sicuri che riscrivendo i medaglieri, i secondi, i terzi, i quarti e i quinti classificati all’epoca delle competizioni erano meritevoli di medaglie? No, nella maniera più assoluta. Abbiamo paesi come il Kenya – sempre più emergente a livello mondiale che può contare su una batteria di corridori favolosi ed anche sul campione del mondo di lancio del giavellotto, Julius Yego – nei quali i controlli sono quasi del tutto assenti. Eppure la Wada vuole continuare a catechizzare i “malfattori”, ma nei mesi scorsi ha legalizzato il Tramadol, analgesico che si pensa alla base delle sempre più frequenti cadute dei ciclisti in gruppo, e sembra avere nel mirino sempre i soliti, lasciando in pace “l’Occidente” delle competizioni.

Putin per il momento non ha commentato, oggi ci sarà un incontro a Sochi con gli alti rappresentati dell’atletica moscovita per il punto della situazione in vista di Rio 2016. Ma non si è fatta attendere la ferma risposta del ministro dello sport russo, Vitaly Mutko: “La Wada non ha il diritto di sospendere. Le conclusioni della commissione non sono sostenute da prove e non contengono fatti nuovi. Se si legge il rapporto è scritto più o meno così: secondo le nostre informazioni c’è l’influenza dello Stato, rappresentato dal ministero, su tutto questo sistema. Non abbiamo le prove, però allo stesso tempo riteniamo che questa (influenza, ndr) ci sia. Ma che tipo di accusa è? La Russia non ha mai insabbiato i problemi legati al doping. Se ci sono stati casi di corruzione legati all’uso di sostanze proibite da parte di alcuni atleti, non potevamo esserne a conoscenza prima”.

Dopo il tentativo di sabotare i giochi invernali a Sochi lo scorso inverno, la diatriba sui prossimi Mondiali di calcio che si disputeranno a Mosca – mentre Wolfgang Niersbach, il presidente della Federazione di calcio tedesca, si è dimesso in seguito ai presunti 4 voti comprati dalla Federcalcio teutonica, decisivi per l’assegnazione, nel 2006, del Mondiale alla Germania – la caccia alle streghe in salsa russa continua e sinceramente annoia. Perché basare le proprie politiche, anche, sulla figura prestante dei propri rappresentanti sportivi non è simbolo di dispotismo, come scrive Corriere.it, ma volontà di bellezza in un panorama di meschinità.

Lorenzo Cafarchio

 

 

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Adriano Calabrese 12 Novembre 2015 - 6:43

Quello che stanno facendo alla Russia è una pagliacciata politica colossale.
Lo sanno anche i muri che a praticare il doping di stato sono tutte le grandi potenze, e se vogliamo mettere una nazione primatista da anni, c’è sicuramente e palesemente la Spagna, che da dieci anni insabbia spudoratamente tutte le inchieste sul doping come l’operazione Puerto.
Come se non sapessimo che nei laboratori di Colorado Springs si fabbricano atleti dopati dalle olimpiadi del 1984.
Ormai tutto è lecito per attaccare Putin.

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