Dopo una lunga battaglia contro un terribile male è morto Salvatore Schillaci, per tutti Totò. Non intendo qui parlare della sua carriera calcistica e umana. Intendo invece soffermarmi sull’immenso lascito di un ragazzo cresciuto nel quartiere CEP di Palermo. Passato in meno di un mese da giocatore poco conosciuto persino in Italia, almeno dal grande pubblico, a calciatore più famoso ed amato del mondo, nonché icona ancora oggi della cultura pop.
Il Mondiale del 1990
L’Italia si affacciava agli anni ’90 sotto la spinta emotiva del decennio precedente, che aveva illuso un po’ tutti che la nazione avrebbe vissuto gli anni a venire con ancora più gloria e prosperità. In questo contesto ospitare i Mondiali di calcio del 1990 sembrava il naturale ingresso sul viale del trionfo. I nostri club dominavano in Europa e nel mondo (solo un mese prima Milan, Sampdoria e Juventus avevano conquistato tutte e tre le coppe europee) e gli Azzurri allenati dal CT Azeglio Vicini sembravano una corazzata inaffrontabile, capace di ripetere il successo di quella di Enzo Bearzot del 1982 in Spagna.
Schillaci partiva come riserva di Andrea Carnevale, ma Vicini lo inserì al suo posto per provare a sbloccare la partita d’esordio contro l’Austria. Cosa che puntualmente avvenne. E da allora tutti scoprirono questo ragazzo dagli occhi spiritati che esultava come fosse indemoniato… e se ne innamorarono perdutamente. Perché nelle favole tutti adorano l’eroe più improbabile, quello che la società aveva invece destinato al fallimento.
Purtroppo questa storia era davvero troppo bella perché potesse concludersi con un trionfo. Come tutti ben sappiamo, ci fermò ai rigori in semifinale l’Argentina di Maradona (che era davvero tutto l’opposto di Schillaci, ma destinato come lui ad una morte prematura). Ma, esattamente come Dorando Pietri che viene ricordato per essere stato squalificato alla fine della maratona delle Olimpiadi di Londra 1948, offuscando il nome del vincitore, Totò rimarrà per sempre il simbolo di Italia ’90. Molto più della Germania Ovest che si laureò campione, e al pari dell’iconica mascotte Ciao. La quale, derisa un po’ da tutti inizialmente, con gli anni è assurta a simbolo di design e icona della creatività italica.
Totò Schillaci, un nome mitizzato
Ecco perché Salvatore Schillaci è un nome mitizzato tanto quello di Paolo Rossi in arte Pablito (altro eroe sfortunato dal punto di vista della salute). Anche se quest’ultimo ha avuto l’onore di alzare al cielo quella benedetta/maledetta coppa. La sua eredità nell’ambito della cultura popolare è ancora oggi immensa e ha travalicato i confini nazionali e ne abbiamo avuto numerose prove nel corso degli anni e in questi giorni di lutto. In Irlanda, nonostante un suo goal avesse mandato a casa la nazionale di Jackie Charlton, divenne talmente popolare che venne scritturato per uno spot della popolare birra Smithwick’s. Venendo poi addirittura citato nel libro Due sulla strada (The Van, in originale) di Roddy Doyle e nella sua omonima trasposizione cinematografica a cura di Stephen Frears, nella quale il protagonista Colm Meaney indossa l’iconica maglietta Fuck Schillaci, “colpevole” di aver rubato loro il sogno.
Ma il culto di Totò non si è fermato all’Europa. Nel 1994 divenne il primo calciatore italiano a giocare in Giappone, dove era considerato alla stregua di una rockstar. Il Júbilo Iwata era talmente desideroso di averlo tra le sue fila che, oltre ad un faraonico contratto, gli mise a disposizione un autista 24 ore su 24. Oltre a un interprete ed un’abitazione. E, per quanto sembri impossibile, nell’impenetrabile Corea del Nord, nel 2012, all’interno di un libro per bambini, viene dato spazio alla sua esperienza di uomo e di calciatore.
La fine di un’epoca
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, mi piace ricordare quando una decina di anni fa lo incontrai per caso in un pub milanese, nel quale stava realizzando un collegamento televisivo. All’esterno mi fumai una sigaretta insieme a lui, salutandolo quasi con devozione, ma non chiedendogli nulla di calcio, prima che ognuno tornasse al bancone e alla sua pinta. Mi bastava ripensare alle emozioni che mi aveva regalato quando avevo solo quindici anni e che mi porterò dietro per sempre in quelle Notti Magiche che sembravano scritte apposta per lui. Ma che ora sono ufficialmente finite per sempre.
Ciao e grazie, Totò.
Roberto Johnny Bresso