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Antifascisti, antifascistissimi… praticamente in camicia bruna: se il St. Pauli viene trollato dalla sua stessa storia

by La Redazione
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Roma, 19 feb – Vi abbiamo raccontato qualche mese fa di quella volta che il St. Pauli decise di farsi fuori da X per colpa di quel cattivone di Elon Musk. Colpevole, quest’ultimo, di aver «fortemente supportato» Donald Trump nelle ultime elezioni americane. Bene, la società di calcio più antifascista del mondo torna a far parlare di sé per aver deciso di sospendere, dopo vent’anni di onorato servizio, il proprio inno. In quanto – a detta loro – troppo divisivo. Ma andiamo con ordine.

“Il cuore di St. Pauli”

Eppure le note del “Cuore di St. Pauli”, che per due decenni hanno preannunciato le partite casalinghe dei Kiezkicker, parlano di un profondo legame con la propria terra. “Amburgo è casa mia, il posto a cui appartengo. Il porto, le luci, il Sehnsucht – termine letteralmente difficile da tradurre ma comunque assimilabile allo struggimento, a un forte desiderio interiore – che accompagnano le navi in lontananza”. Perché, sempre proseguendo con il testo “lì, sull’Elba, ti aspetta la felicità”. 

Registrata nel 1956, prima di diventare l’inno del St. Pauli “Das Herz von Sankt Pauli” – questo il nome in lingua tedesca – fu un motivetto popolare dedicato alla vivace atmosfera del quartiere, noto per la vita notturna (e non solo). Dove starebbe allora il problema? 

Tutta colpa del paroliere…

Non si preoccupi il lettore che – come noi – fatica a ritenere divisive le parole di cui sopra. Perché le complicazioni più che nel testo sono da ricercare in chi non è mai riuscito a fare i conti con il proprio passato. Un qualcosa che ha a che fare con l’essenza di chi si pone per negazione (anti-qualunque cosa non sia di mio gradimento), più cancel culture che ricerca dell’inclusività

Secondo una ricerca del Museo St. Pauli infatti, Josef Ollig – il paroliere autore del testo – avrebbe avuto un passato come corrispondente con il governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale. Giornalista, classe 1906 e – a quanto pare – dal 1940 arruolato nella Luftwaffe, operativo nei combattimenti contro l’Unione Sovietica. 

Un tedesco, uomo di cultura, vissuto nella prima metà del secolo scorso, in rapporti con l’allora governo. E partito per il fronte allo scoppio del conflitto mondiale. Che sorpresa, e chi l’avrebbe mai detto? Scherzi a parte, torniamo al “Cuore di St. Pauli”: scritto a sei mani, tra gli autori troviamo anche Hans Albers. Attore e cantante, stella del cinema teutonico tra il 1930 e il 1945, fu protagonista in diversi film di propaganda nazionalsocialista. Tra questi “Il barone di Münchhausen”, pellicola voluta da Goebbels in persona.

Chi era Wilhelm Koch?

Potrebbe bastare così, ma suggeriti da Repubblica, procediamo. Eccoci a Wilhelm Koch, presidente in carica per 35 lunghe stagioni. Imprenditore dedito al commercio di cuoio e pelli, negli anni ‘50 assicurò la stabilità economica del St. Pauli provvedendo di tasca propria. Morto per una malattia fulminea nel 1969, gli fu intitolato lo stadio. Almeno fino al 1998. La sua colpa? Una tessera del partito nazionalsocialista. Per lo stesso motivo da quelle parti hanno deciso di cancellare anche il ricordo di Otto Wolff, già ala destra della compagine e – nel dopoguerra – storico dirigente.

Giusto per inquadrare meglio il clima: esattamente una settimana fa nelle sale del Millerntor – il nuovo nome del fu stadio Koch – il St. Pauli ha ospitato l’eurodeputata Ilaria Salis per un “meeting informativo sulla vicenda dei vari arresti, eseguiti anche in maniera incostituzionale [sic], che hanno visto come protagonista un altro gruppo di militanti antifascisti tedeschi”. Pietà (e nessuno provi a spifferare agli amburghesi dei vecchi tweet del padre, che poi magari non la invitano più).

I colori del St. Pauli

Insomma, oltre alle narrazioni moderne, la storia del St. Pauli non è poi così integralmente antifascista come si vorrebbe far credere. Concludiamo con una piccola curiosità: almeno in Europa non esistono altre squadre con il marrone come colore sociale. Disse un paio di anni fa l’ex responsabile commerciale Bernd von Geldern: “la storia di come 100 anni fa si sia arrivati alla scelta del marrone non è chiara, la mia idea è che non ci fossero altri colori, oppure era semplicemente il colore preferito del primo presidente”

Ecco, un consiglio spassionato agli storici della società. Ovvero quello di non approfondire la questione. Sia mai che dalle magliette marroni si scopra un flebile, flebilissimo collegamento con qualche camicia bruna: in tal caso – a furia di cancellare – del St. Pauli potrebbe non rimanerne più niente.

Cesare Ordelaffi

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