Roma, 19 ott – Un film che non aggiunge nulla. Suburra, la grande operazione di rilancio del cinema italiano, è un’occasione perduta. Sollima è bravo, è innegabile, ma la “puzza” di serie tv prestata al cinema rimane e l’impianto ideologico del film è sempre la solita “pastetta” radical chic: la destra collusa con la criminalità degli ex camerati sprofonda nella sua miseria morale, il Vaticano è corrotto, i magistrati sono bravi, mentre compagni, i giornalisti, i “palazzinari” e le cooperative non sono neanche nominati.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo scritto a quattro mani da Carlo Bonini di Repubblica, giornalista antifascista militante, e Giancarlo De Cataldo, magistrato schierato con Magistratura Democratica, racconta i 7 giorni prima dell'”Apocalisse”, ovvero la settimana precedente la caduta del governo Berlusconi e le dimissioni di Papa Ratzinger.
L’ambientazione è quella di una capitale tetra dove piove sempre, stile Blade Runner, con inquadrature tese ad esaltarne la monumentalità alla Sorrentino ma sempre con una certa cupezza.
All’interno di questo contesto agisce il “Samurai”, che sarebbe Carminati interpretato da Claudio Amendola, che per conto delle famiglie mafiose del sud Italia cerca di realizzare il progetto di trasformare Ostia in una sorta di Las Vegas. Per riuscirci si servirà della criminalità del litorale comandata da “Numero 8”, interpretato da Alessandro Borghi, e degli appoggi politici degli ex camerati che fanno parte del governo (Berlusconi, ndr), tra cui l’onorevole Malgradi interpretato da Favino. Non mancano gli zingari, con il clan degli “Anacleti” (i Casamonica, ndr), che torturando il viscido “localaro” (organizzatore di serate, ndr) Elio Germano, cercano il salto di qualità dal racket dell’usura a quello dei grandi affari, rimanendo però impantanati in una faida familiare con il gruppo di Ostia capitanato da “Numero 8”. Spoilerando un po’ ma nemmeno troppo, anticipiamo che alla fine non ci sarà salvezza per nessuno.
Sul piano tecnico Sollima realizza tutto sommato un buon film, che si inserisce perfettamente nel filone iniziato da Romanzo Criminale e proseguito con Acab e la serie di Gomorra. Sceglie di limitare molto i movimenti della macchina da presa (ad eccezione della sparatoria nel supermercato), i personaggi sono sufficientemente caratterizzati.
I tempi e le ambientazioni però sembrano molto più studiate per una serie tv, con i “campi base” da cui si sviluppa l’azione dei diversi gruppi in lotta. Nel film si indugia spesso sul Vaticano, ma di fatto lì non succede mai nulla. Un film buono ma che manca di originalità e sa un po’ di già visto, sempre in bilico tra il film di intrattenimento e la denuncia militante all’italiana. Del resto la sceneggiatura parla chiaro. Il cardinale che gestisce lo Ior e che viene minacciato dal criminale per motivi finanziari è un cliché che va avanti almeno da Il Padrino III.
E tutto il resto, dal parlamentare che si ritrova in un’orgia a fumare eroina con la celtica al collo, dal Samurai che fa ammazzare il vecchio camerata ex Nar, dalla magistratura che viene a far pulizia di una politica, sempre e solo di “destra”, corrotta e impunita, rappresenta sempre la stessa favoletta di sinistra.
Rivolgiamo una preghiera a Bonini e De Cataldo: visto che la sinistra a Roma ha governato in 17 degli ultimi 22 anni, quando ce lo fate un bel soggetto che parla del sistema di potere delle municipalizzate e delle cooperative romane, dei giornali romani, nominalmente di sinistra, ma asserviti ai poteri più schifosi? Quando ci parlerete di D’Alema, di Marchini, delle decine di arresti nel Pd romano e dei suoi rapporti di favore proprio con una certa magistratura?
Su, da bravi, dateci una risposta.
Davide Di Stefano