Il tanto atteso Don’t worry darling non era ancora uscito nelle sale e aveva già creato un polverone tale da avere più notizie sui vari gossip di scena che sulla natura del film. Le liti (vere o presunte) accadute in pre e post-produzione sono state talmente aspre – specialmente tra Florence Pugg e la regista Olivia Wilde – che l’attrice protagonista non ha nemmeno partecipato alla promozione del film. Senza parlare dei due primi attori (Chris Pine e Harry Styles), che si sono addirittura presi a sputi in faccia. Insomma, attorno a questa pellicola si è creato tantissimo chiacchiericcio e i più malevoli sostengono che sia stato fatto a tavolino per nascondere la scarsa sostanza della pellicola.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2023
In realtà la bad girl Olivia Wilde non se la cava affatto male dietro la macchina da presa, calcolando che si tratta del suo secondo lungometraggio dopo il banalissimo La rivincita delle sfigate. Certo, se cerchiamo dell’originalità non la ritroveremo qui, calcolando che già negli anni Settanta esce il geniale The Stepford Wives con una trama praticamente identica… D’altra parte oggi cosa ti vuoi inventare, direte voi? E quindi ci accontentiamo, anche perché qualche elemento innovativo comunque la cattivissima Olivia ce lo propone. È difficile parlare della trama senza fare spoiler, possiamo però dire che la Wilde è bravissima a mantenere il segreto su cosa diamine stia accadendo in questa cittadina, Victory, all’apparenza perfetta e ambientata nei coloratissimi anni Cinquanta americani. Gli uomini lavorano tutti insieme a un misterioso progetto e le mogli si fanno belle in loro attesa.
«Don’t worry darling» è un film femminista?
La comunità e la collettività assumono un ruolo predominante sul singolo e, nonostante le frasi dei protagonisti possano apparire agghiaccianti al pubblico woke (Frank: «Cosa è il contrario di progresso? Caos. Caos, che parola orribile». Oppure, Shelley: «Vi è bellezza nel controllo, grazia nella simmetria. Ci muoviamo all’unisono». O ancora: «Victory possiede cose che i soldi non possono comprare») e Don’t worry darling sia stato essenzialmente accolto come un film femminista, Olivia Wilde si diverte a flirtare pericolosamente con la misoginia fascistoide dei personaggi maschili e dell’architettura mid century. Non a caso le forme simboliche privilegiate e che ritroviamo in diversi fotogrammi cruciali del film sono la geometrica V di Victory, che rimanda all’estetica brit di Oswald Mosley, e il cerchio iniziatico. Altri elementi rituali sono contenuti nell’ascesa della protagonista Alice (un nome un programma) verso la «salvezza» e la «libertà», e il ballo sfrenato dei mariti in contrapposizione con la danza classica delle mogli: un elemento che ci fa riflettere sull’autocontrollo femminile in un universo perfetto. Come se ciò non bastasse, la Wilde sceglie di raffigurare la…