Roma, 17 dic – Avvolta nello struggente splendore del suo tramonto, la Venezia settecentesca, scrive Luigi Bàccolo, è “talmente intrisa di piaceri e di feste che anche i moralisti, quando la descrivono con biasimo, stentano a dominare la nostalgia per quel mondo; là amori, là mascherate e regate, là quella dolcezza di vivere di cui qualche aspetto è possibile cogliere un po’ dappertutto in Europa, ma, intera, solo a Venezia” (Vita di Casanova, Aragno, pp.317, euro 18). Ebbene, Giacomo Casanova, letterato e filosofo, alchimista e giocatore, viaggiatore e bibliotecario, galante libertino ed elegante truffatore, in questa incantata decadenza campeggia da gran signore.
Perché, anche se di ascendenze tutt’altro che nobili (la madre era un’attrice, avvenente e sventata, il padre chissà…), amava la bella vita, il lusso e la fama, e faceva la sua figura nei salotti e, ovviamente, nelle alcove. Nonché tra gli uomini di spada e tra quelli di penna. Non dobbiamo infatti dimenticare che il Nostro, se è passato alla storia per le sua arti di seduttore (ma spesso era lui a farsi sedurre perché nel suo sfrontato libertinismo c’era un fondo di ingenuità…), ci teneva alla sua aura di intellettuale. Se molto amò, molto scrisse, infatti, sui più vari argomenti.
E se le sue Memorie restano non solo un monumento biografico ma anche un grande affresco di costume e un grande omaggio a un mondo forse fatuo ma anche splendidamente colorito, ormai al tramonto, non bisogna dimenticare che il bel Giacomo disse (e scrisse) la sua nel campo delle scienze occulte, fu commediografo, si addentrò negli aspri territori della politica, si dilettò nel ricamare paesaggi utopistici, inanellò sentenze da consegnare ai posteri. Eccone una: “ Per Venere! Degno di vita è l’uomo che sa vivere! Infatti quella vita che si tien lontana da Bacco, da Venere, dai godimenti, in verità non è vita”. Per carità, si può esser d’accordo o meno: di sicuro Bàccolo lo è e riesce a disegnare un compiuto profilo del Veneziano, cogliendone a pieno lo spirito di raffinato cultore del piacere, capace però di acute riflessioni sulla natura dell’uomo. E della donna. Casanova non era un cinico collezionista come don Giovanni, ma piuttosto un “maniaco sentimentale”.
Si innamorava, insomma, e non veniva meno al garbo e alla galanteria che gli erano innati, neppur quando a fargli intrecciare una relazione con una dama, magari un po’ appassita, entrava in campo l’interesse. Certo, Casanova sfruttava il suo credito di amatore, ma mai si comportò da volgare profittatore, e a tutte lasciò un non sgradito ricordo. L’edonista- ma non abbandonò mai la fede dei padri e sempre rispettò Santa Madre Chiesa – divenne un pessimista col passare degli anni? Indubbiamente, il Casanova sessantenne, acciaccato e amareggiato, che accetta l’ufficio di bibliotecario offertogli dal conte di Waldstein nel castello di Dux in Boemia e che lì si dedica alla stesura della sua autobiografia (Histoire de ma vie), è assai lontano dal gagliardo giovanotto che evade in modo spettacolare dai Piombi di Venezia.
E tuttavia può permettersi di dire: non ho pentimenti né rimpianti. Incorreggibile, inimitabile e, diciamo la verità, invidiabile. Dunque, detestabile per le legioni di sfigati che la vita eroticamente sontuosa e avventurosamente spericolata se la sognano.
Se Bàccolo, con sorridente complicità, accompagna Casanova- “ alto uno e novanta, occhio focoso e dominatore, grande naso imperioso”- in giro per l’Europa, ci fa conoscere le sue conquiste ed assolve il simpatico avventuriero, anche quando si comporta da truffaldino, il mitteleuropeo di radici ebraiche Stefan Zweig (Casanova, Castelvecchi, pp. 90, euro 12,50), dedica le sue attenzioni soprattutto al dilettante ricco di intelligenza e di estro. Il suo “genio”, scrive Zweig, non sta nel modo in cui descrisse e raccontò la propria vita, ma nel modo in cui la visse: insomma, “l’esistenza stessa è l’officina di questo artista mondiale, materia e forma a un tempo, ed è solo a questa sua vera e autentica opera d’arte che si è dedicato con lo stesso ardore creativo che i poeti di solito rivolgono alle loro prose e ai loro versi (…). Ciò che altri devono inventare, lui lo ha appreso respirando; ciò che altri modellano con lo spirito, lui lo ha modellato col suo caldo corpo voluttuoso”. Un eroe della voluttà, ma nella logica dello “scambio”: Casanova, al pari di d’Annunzio, cercava il piacere, ma voleva anche darlo. E Zweig, che all’inizio sembra mostrare nei confronti del Veneziano un atteggiamento antipatizzante, via via che procede nell’approfondimento psicologico finisce col trovare spunti solidali e quasi amicali. Forse perché, nonostante inciampi e cadute, debolezze ed errori, Casanova conservò sempre un certo stile. Quello che- per dirla con Franz Blei, un altro mitteleuropeo aristocratico-libertario, è “l’impronta di ciò che si è su ciò che si fa”.
Mario Bernardi Guardi