Ci sono questioni nel dibattito sul processo penale rispetto alle quali sembra quasi impossibile raggiungere un momento di quiete, un punto nel quale, superato ogni dissidio, tutti gli elementi siano in equilibrio. Ciclicamente e con sempre maggiore frequenza, tali questioni si ripropongono, con sfumature e accenti differenti, e rimarcano una netta spaccatura tra i diversi approcci alla giustizia penale. Le intercettazioni, probabilmente, rappresentano l’esempio paradigmatico di questa tendenza. Le polemiche più o meno recenti – offuscate soltanto temporaneamente da più stringenti questioni di diritto penitenziario – lo dimostrano e restituiscono l’immagine di una materia la cui gestione è resa ancor più complicata dalle degenerazioni «ideologiche» di alcune posizioni.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di marzo 2023
È su questo versante, infatti, che l’annosa contrapposizione tra concezioni di matrice garantista e soluzioni dal taglio giustizialista si polarizza in maniera irreversibile e pregiudica, quasi irrimediabilmente, l’avvio di una riflessione costruttiva, che consenta di riordinare i concetti in un settore nevralgico della procedura penale. E così, mentre da un lato si pone l’accento sulla necessità di tale strumento per un contrasto efficace alla criminalità, dall’altro si prospetta il danno che può derivare dagli abusi, ovvero da un ricorso incontrollato a simili mezzi di indagine, non soltanto sotto il profilo sociale, ma anche sul versante economico. Emerge quindi la complessità di una situazione che deve essere affrontata gradualmente, individuando, alla luce delle esigenze contrapposte, i punti fermi.
Intercettazioni: cosa dicono le leggi
Semplificando estremamente i termini della questione, non si può seriamente dubitare della necessità di dotare l’autorità giudiziaria di strumenti di indagine efficaci. Che, anzi, devono essere adeguati all’incessante evoluzione tecnologica. Allo stesso tempo, però, non è possibile neppure pensare che gli inquirenti possano introdursi senza alcun limite nella vita privata dei singoli, assimilando l’indagine penale a una sorta di sorveglianza di massa. Su questi due assunti, allora, si deve ragionare per definire la portata concreta di affermazioni di principio tanto ampie e verificare, alla luce dell’attuale conformazione legislativa, fin dove possono spingersi le esigenze sottese all’accertamento dei reati. Dal punto di vista normativo, il codice di procedura penale declina i princìpi costituzionali in maniera molto netta: se la segretezza delle conversazioni è un diritto inviolabile, la selezione dei reati per i quali possono essere svolte le intercettazioni è compiuta seguendo il criterio della gravità, mentre l’attivazione dello strumento è subordinata all’esistenza di…