Roma, 19 nov – Sembra una barzelletta, di quelle che si raccontano sottovoce per non farsi sentire dai politicamente corretti che infestano il mondo in cui viviamo, eppure è tutto vero: la sonda Schiaparelli, che lo scorso 19 ottobre si è schiantata sul suolo di Marte, è precipitata perché “hanno affidato i controlli a una ditta rumena”. A dirlo è la stessa Esa che dopo un mese di indagini ha trovato cosa è andato storto nel rientro in atmosfera del lander Schiaparelli, la parte della sonda della missione Exomars che doveva atterrare su Marte per studiarne la superficie.
In un articolo apparso su Airpress, poi ripreso anche da La Repubblica, si accusa la gestione dell’Esa dei test di rientro in atmosfera, prima affidati a una ditta svedese, la Swedish Space Corporation, in seguito passati a una rumena, la Arca, che, secondo il coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana Enrico Flamini, “non è dotata di competenza scientifica sufficiente” il tutto, a quanto pare, per risparmiare un milione di euro. Qui si dimostra tutto il limite dell’inesperienza dell’Esa, o sarebbe meglio dire della filosofia al risparmio che ha preferito far condurre un test ad una ditta non all’altezza pur di risparmiare un po’ del bilancio a disposizione per la missione Exomars: perché il test del modulo di rientro “Schiaparelli” da effettuare con un pallone aerostatico era stato predisposto dall’Esa, ma cancellato e affidato ad una simulazione al computer a causa della scarsa competenza della ditta rumena. Questo modus operandi ha un nome: si chiama delocalizzazione; perché delocalizzare significa andare alla ricerca di condizioni di lavoro più a buon mercato, proprio quello che ha fatto l’Esa affidando la gestione dei test alla ditta rumena. Si scopre inoltre che Esa ha cercato anche in una seconda occasione di tagliare i costi dei test, ovvero in occasione del collaudo del radar della sonda. L’Agenzia Spaziale Europea ha infatti cercato di cancellare il test del radar su un analogo terrestre del suolo marziano, il centro italo-marocchino Ibn Battuta; dopo aver tentato di sostituirlo con un test presso un aeroporto militare italiano, solo alla fine, dopo fortissime pressioni da parte dell’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), si sono fatti sia i test iniziali in aeroporto, utili per capire se il radar funzionava, sia quelli fondamentali per capire come funzionava, effettuati da elicottero nel deserto marocchino. A oggi sappiamo che il radar ha funzionato correttamente.
Quindi cosa è andato storto nella sonda Schiaparelli? Secondo i tecnici dell’Asi, con l’apertura del paracadute e man mano che l’atmosfera diventava più densa, Schiaparelli ha preso a oscillare come un pendolo impazzito. Un movimento fuori controllo che ha mandato in tilt i sistemi magnetici di localizzazione. “In quel momento” riferisce l’Asi “al computer di bordo sono arrivate informazioni contrastanti: l’altimetro segnava correttamente 2000 metri di quota, mentre i giroscopi segnavano addirittuta -10, come se Schiaparelli fosse sotto il suolo marziano”. Il computer di bordo quindi ha creduto ai giroscopi e ha spento i motori dopo appena 3 secondi facendo così precipitare al suolo il lander Schiaparelli.
Paolo Mauri
5 comments
In effetti fa ridere
Peraltro è errato parlare di delocalizzazione perché l’ESA è sovranazionale. Sarebbe stata delocalizzazione se l’incarico all’azienda (ditta è scorretto) rumena l’avesse conferito l’ASI. E’ un appalto fatto col culo, il settore aereospazioale è sempre stato in gran parte sovranazionale, che paghino i responsabili per i soldi buttati ma non stiamo parlando di mozzarella fatta in transilvania, non tiriamo fuori la storia della globalizzazione qui, si rischia il ridicolo (vedi consorzio italomarocchino)
No, delocalizzare non significa solamente andare extra UE o extra Italia, come spiegato nell’articolo significa andare a cercare condizioni di lavoro più a buon mercato. Prova ne é la scelta di affidarsi all’azienda rumena al posto di quella svedese per poter risparmiare sul bilancio, ancorché in seno alla stessa Esa. Delocalizzare quindi non significa solo produrre le eccellenze italiane altrove, cerchiamo di non soffermarsi sui significati superficiali del fenomeno.
Se la Romania fa parte dei progetti dell’ESA quest’ultima non ha portato nulla al di fuori del proprio perimetro quindi non ha delocalizzato niente. Non mi pare, peraltro, che l’appalto alla società rumena abbia soffiato una commessa destinata all’Italia, quindi a mio avviso si tratta di una scelta discutibile dell’ESA tra le opzioni che aveva a disposizione, non una perversa conseguenza della globalizzazione o del dumping rumeno. Non essendoci traccia nel suo articolo del fatto che prima questa linea produttiva o di ricerca fosse stabilmente in un posto e che il progetto sia stato sposato da questo posto per migrare in un contesto economicamente più conveniente, non credo che il concetto di delocalizzazione sia applicabile.
Si legga meglio il commento precedente e l’articolo: delocalizzare non significa solamente trasportare linee di produzione extra Italia, significa cercare condizioni di lavoro più a buon mercato.
Andare in Romania per risparmiare un milione di euro in loco della Svezia significa quindi delocalizzare.