Torino, 4 feb – Gli astrosismologi e i ricercatori dell’Università di Birmingham hanno guidato il team che ha scoperto un Sistema Solare con cinque pianeti di dimensioni simili a quelle della Terra, e che risale agli albori della formazione della Via Lattea, la galassia che abitiamo.
Il merito è ancora una volta della missione NASA Kepler, i cui dati sono stati elaborati da un team di scienziati tra cui Alessandro Sozzetti e Andrea Miglio dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), che hanno appena pubblicato un importante articolo sulla prestigiosa rivista internazionale The astrophysical journal (disponibile liberamente su aRxiv) annunciando la scoperta e la caratterizzazione di una stella del tutto simile al nostro Sole – Kepler-444 – attorno a cui ruoterebbero cinque pianeti di dimensioni comprese fra Venere e Mercurio.
Kepler-444 è una stella formatasi 11,2 miliardi di anni fa, al tempo in cui l’Universo aveva meno del 20% della sua età attuale. Di fatto, è il più antico Sistema Solare conosciuto a presentare caratteristiche tanto simili a quello che ben conosciamo: cinque pianeti di dimensione paragonabile a quella della Terra.
“Questo sistema è estremamente peculiare anche dal punto di vista della compattezza”, spiega Alessandro Sozzetti dell’Inaf-Osservatorio Astrofisico di Torino. “I cinque pianeti si trovano tutti su orbite di piccole dimensioni, meno di un quinto dell’orbita di Mercurio. Indice di una forte evoluzione dinamica del sistema, successiva alla sua formazione. Appena l’1% dei sistemi extrasolari individuati da Kepler ha caratteristiche simili a quelle di Kepler-444”.
Il team di ricercatori si è avvalso delle conoscenze astrosismologiche maturate negli ultimi decenni: dalle frequenze delle oscillazioni naturali della stella, causate da onde sonore intrappolate in una cavità risonante situata al suo interno, è possibile calcolare raggio, massa e, soprattutto, età.
Per l’individuazione dei pianeti invece si ricorre al metodo dei transiti, che causano oscuramenti più o meno estesi del disco stellare. L’affievolimento nell’intensità della luce ricevuta dalla stella consente agli scienziati di desumere la dimensione esatta dei pianeti partendo dalle specifiche della stella ospite.
Tiago Campante, in forza presso la School of Physics and Astronomy dell’Università di Birmingham, e primo autore dell’articolo spiega come questa scoperta apra a conseguenze molto importanti dal punto di vista della teoria della formazione dei sistemi planetari: “Adesso sappiamo che i pianeti di dimensioni simili a quelli della Terra si sono formati durante l’intera storia dell’Universo. 13,8 miliardi di anni: non sono pochi per escludere che la Galassia abbia già ospitato altre forme di vita extraterrestre nel suo passato”.
C’è da tener conto del fatto che al momento in cui la Terra si è formata, i pianeti di questo antico Sistema Solare erano già più vecchi di quanto non lo sia il nostro pianeta oggi. Ma quel che è certo, è che la scoperta fatta dagli astrosismologi aggiunge elementi utili a fissare un inizio ai processi di formazione planetaria.
Secondo il professor Bill Chaplin, anch’egli dell’Università di Birmingham e leader del gruppo che nell’ambito della missione Kepler si è occupato delle stelle di tipo solare, “la scoperta di pianeti extrasolari in orbita attorno a stelle simili alla nostra, ci spinge a continuare la ricerca di pianeti simili alla Terra nel vicinato del nostro Sistema Solare”.
“Questo eccezionale risultato consolida le potenzialità dell’astrosismologia nella determinazione dei parametri fisici delle stelle”, sottolinea Ennio Poretti dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Brera. “Come ha dimostrato il caso di Kepler-444, la precisa determinazione di massa e raggio delle stelle ospiti hanno una immediata ricaduta sulla conoscenza degli stessi parametri dei pianeti. La missione ESA PLATO 2.0 è basata su questo connubio maturato negli anni proprio tramite le missioni CoRoT e Kepler. Ma ancor più significativo è l’uso dell’astrosismologia per rivelare quel dato che le stelle ostinatamente tendono a nascondere, la loro età”.
Tenuto conto del “Paradosso di Fermi” che escluderebbe la presenza di forme di vita molto evolute e intelligenti a distanze ragionevoli dal nostro sistema solare, la scoperta compartecipata dai ricercatori italiani dell’Inaf lascia aperta la porta almeno alla possibilità di forme di vita più o meno intelligenti almeno nel profondo passato dell’universo.
Un altro aspetto estremamente interessante della scoperta di pianeti extrasolari (o esopianeti) che si contano ormai in quasi duemila esemplari, oltre alla possibilità della presenza di forme di vita nelle zone di abitabilità, ossia le regioni intorno a una stella in cui è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie, è quella della soluzione del mistero della velocità di rotazione dei pianeti intorno al proprio asse, in pratica della lunghezza del giorno, che al di fuori del sistema solare è stata misurata per via spettroscopica soltanto per il pianeta beta Pictoris b, situato a 63 anni luce dalla Terra nella costellazione meridionale di Pictor e orbitante intorno alla stella Beta Pictoris.
Si è scoperto che questo pianeta – un gigante gassoso non dissimile da Giove ma ancora più grande, 16 volte più grande della Terra e 3 mila volte più massivo – ruota intorno al proprio asse con una velocità periferica elevatissima, dell’ordine di 100 mila km all’ora, contro i 47 mila di Giove e i “soli” 1700 della Terra, comunque molto più grande rispetto a qualsiasi pianeta del sistema solare, tanto che, nonostante le sue enormi dimensioni, la lunghezza del giorno su beta Pictoris b è di appena otto ore.
Inoltre, si è scoperto che l’energia cinetica di un pianeta associata alla rotazione intorno al proprio asse, per tutti i pianeti del sistema solare abbastanza lontani dal Sole – dalla Terra verso l’esterno – è accuratamente proporzionale al quadrato della rispettiva massa, indipendentemente dalla distanza dal Sole e dalle dimensioni del pianeta stesso (un pianeta gassoso come Giove è mediamente molto meno denso di un pianeta roccioso come la Terra) e – sorprendentemente – che l’unico pianeta extrasolare di cui si conosca la rotazione intorno al proprio asse, appunto beta Pictoris b, segue la stessa legge matematica, suggerendo che si tratta di un fenomeno universale la cui definitiva conferma potrà arrivare allorché si sarà in grado di misurare o stimare la velocità di rotazione intorno al proprio asse anche di altri esopianeti appartenenti ad alti sistemi solari, come i cinque appena scoperti con la partecipazione dell’Inaf.
Francesco Meneguzzo