New York, 29 mag – Penalizzare una parte dell’umanità, trasversale a tutte le comunità e le Nazioni, invece che riconoscere che il sistema nel suo complesso non funziona e agire di conseguenza. Questo difetto fondamentale pare caratterizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile emanati dall’Onu, che dovrebbero entrare in vigore entro quest’anno, per quanto riguarda la parte dedicata alla sanità.
Secondo le linee guida delle Nazioni Unite, non obbligatorie ma fortemente raccomandate agli Stati membri – praticamente, tutto il mondo – il numero di morti premature per malattie come cancro, infarto (patologie cardiache), diabete e demenza dovrebbero essere ridotte di un terzo al 2030. Tutto bene se non che, come riporta il giornale britannico The Telegraph, non sono classificate come “morti premature” quelle relative a individui di oltre 70 anni.
In una lettera aperta pubblicata tempo fa sulla prestigiosa rivista The Lancet, in fase di discussione degli obiettivi Onu, Peter Lloyd-Sherlock, professore di politiche sociali e sviluppo internazionale all’università della East Anglia in Inghilterra dichiarava che “questo obiettivo sulla mortalità prematura è fortemente anti-etica, dal momento che discrimina senza giustificazioni le persone più anziane”, aggiungendo che “sappiamo già che sussiste una discriminazione basata sull’età nella cura e chirurgia del cancro e questi obiettivi di fatto la approvano”. Lloyd-Sherlock conclude “questi obiettivi non sono ancora definitivi, per cui abbiamo un’ultima opportunità per chiedere all’Onu di modificarli, altrimenti le persone di 70 anni e oltre diventeranno cittadini di seconda classe rispetto alle politiche della salute”.
La baronessa Sally Greengross, già direttrice dell’agenzia per l’invecchiamento in Gran Bretagna, cofirmataria, da parte sua ritiene che “se adottati, questi obiettivi Onu potrebbero portare a una discriminazione istituzionalizzata contro i più anziani nella cura della salute, rinforzando una pratica già in atto”.
Se è vero che tra oggi e il 2030, come riportato in un successivo e recente articolo ancora su The Lancet – tra gli autori ancora il Prof. Lloyd-Sherlock – la quota di popolazione over-60 nel mondo passerà dall’attuale 10% al 22%, gli stessi autori di quest’ultimo articolo segnalano che gli allarmi per l’impatto macroeconomico di questo fenomeno sono esagerati. Tra l’altro, l’aumento dell’infertilità implica una maggiore quota di donne nel mondo del lavoro, una diminuzione della dipendenza dei più giovani, cambiamenti comportamentali come una maggiore propensione al risparmio in vista di una vita più lunga.
Intanto, sul piano pratico delle cure, appare eticamente corretto secondo i principi universali e di antica data della medicina, decidere il trattamento di chiunque sulla base degli esiti attesi e non certo dell’età. In questo senso, è pur vero che accanirsi nel recuperare alla vita un anziano colpito da un forte infarto può risultare in una qualità della vita probabilmente indegna di essere vissuta, così come certe operazioni chirurgiche potrebbero peggiorare o perfino ridurre l’esistenza di una persona oltre una certa età. “Non nuocere” è un principio basilare della medicina fin dai tempi di Ippocrate e fin qui niente di nuovo, né tanto meno si vede il bisogno di una raccomandazione del tipo di quella dell’Onu.
In realtà, pare che nessuna delle due “parti”, né l’Onu né i suoi detrattori sopra menzionati, in materia di politica sanitaria per gli anziani, riescano a cogliere un punto fondamentale e sottostante: discriminare gli anziani sul piano sanitario o invocare cambiamenti attitudinali come l’infertilità, il lavoro femminile e perfino l’improbabile accumulazione di risorse in vista della vecchiaia, sono aspetti dello stesso problema, in cui la medicina e i suoi principi non c’entrano molto. Il problema è il declino economico e sociale delle Nazioni nel mondo globalizzato, che si dispiega attraverso la diminuzione della natalità nei paesi sviluppati, la sostituzione dei popoli e delle identità, il crollo delle prospettive, del reddito e delle competenze giovanili, la competizione globale per le risorse che, anziché ridursi grazie alla responsabilità delle singole Nazioni nel segno di una ragionevole autarchia, si acuisce sempre più in un vortice di sanzioni e tensioni al limite della guerra calda.
Francesco Meneguzzo