New York, 24 apr – La buffonata dell’accordo internazionale sul clima fa un altro passo avanti, con la sottoscrizione del protocollo di accordo redatto a Parigi nel dicembre scorso, pomposamente eseguita dai capi di stato e di governo di 170 paesi di tutto il mondo nella cornice più ufficiale possibile del Palazzo di Vetro dell’Onu e un battage mediatico impressionante. Una firma a buon mercato, prima di tutto, alla luce del merito dell’accordo climatico: come illustrammo in dicembre su queste colonne, l’assenza di meccanismi sanzionatori automatici lascia alla buona volontà dei singoli governi e blocchi economici l’attuazione delle misure di decarbonizzazione dell’economia che sarebbero necessari – secondo i firmatari – a stabilizzare le emissioni di gas serra (CO2 in primo luogo) e a contenere il riscaldamento globale entro la soglia dei 2°C rispetto all’epoca preindustriale e, meglio ancora, sotto gli 1,5°C.
Come scrivemmo allora, si tratta di una buffonata propagandistica, a uso e consumo dei governi e istituzioni in carica, rispetto all’attuazione concreta delle disposizioni dell’accordo, ma oggi si possono aggiungere ulteriori desolanti considerazioni. Per prima cosa, le ricerche climatiche i cui risultati costituiscono le basi fattuali dell’accordo stesso si stanno rivelando ampiamente errate, col risultato di trasformare queste stesse basi in qualcosa che appare già del tutto superato:
-
Se la prima soglia pericolosa di un grado e mezzo doveva essere superata non prima del 2050, ebbene questa è stata già oltrepassata nei primi tre mesi di quest’anno, soprattutto in febbraio e marzo. Sebbene pompata dal fenomeno di El Niño – il riscaldamento quasi periodico di una gigantesca area dell’oceano Pacifico – e nonostante sia assai improbabile che possa rappresentare anche il successivo corso del 2016, la probabilità stessa di un evento del genere era relegata nel campo della fantascienza. Invece la realtà ha superato la fantasia.
- I bilanci passati dei ghiacciai polari si stanno rivelando tutti piuttosto sbagliati: sia in Antartide, come sostenuto da un recentissimo articolo sulla più importante rivista scientifica del mondo, che conferma in parte quanto anticipammo su questo giornale mesi fa, sia in Groenlandia, secondo un altro importante studio appena pubblicato, che fa seguito a una inquietante scoperta resa possibile da satelliti italiani. Le conseguenze sui livelli dei mari (salito mediamente di oltre 12 cm in un secolo), l’erosione e l’allagamento costiero sono facilmente immaginabili.
Alla luce di tale situazione – e c’è da dubitare che giornali come quelli che hanno ospitato i citati articoli possano esporsi a facili smentite – gli inesistenti vincoli dello sbandierato accordo appaiono ancora più ridicoli. In secondo luogo, spicca la predisposizione delle più importanti istituzioni finanziarie mondiali – dalla Federal Reserve alla Banca Centrale Europea, dalla Banca del Giappone alla Banca Centrale Cinese – a sostenere politiche di alleggerimento finanziario senza fine, culminate con l’intenzione di Mario Draghi di avviare l’acquisizione anche di asset privati in sofferenza, stanno sacrificando l’efficienza di allocazione delle risorse sull’altare di una ripresa della domanda (e dell’inflazione) di cui non si avverte la minima traccia. Se il cambiamento climatico è da ritenersi un’emergenza della portata sottolineata nel documento sottoscritto, acuita dalle più recenti evidenze, non dovrebbero piuttosto essere sostenuti programmi che trasferiscano risorse (ed energia) verso un nuovo paradigma di produzione energetica, previo un attento discernimento delle fonti e infrastrutture realmente efficienti (materia sulla quale esiste un’amplissima evidenza scientifica)?
A meno che, naturalmente, la scienza del clima si sia interamente venduta alla grande politica, oppure che – come è molto più probabile – l’obiettivo non sia quello di perseguire un mondialismo a tappe forzate, come sostenuto ieri stesso dal fondatore di Weather Channel John Coleman il quale, intervenendo su Usa Today, cita un alto ufficiale dell’Onu che avrebbe ammesso il vero obiettivo di tanto impegno internazionale: “Ridistribuire di fatto la ricchezza mondiale attraverso la politica climatica” – a partire dai 100 miliardi di dollari messi a disposizione dei paesi in via di sviluppo. Tra sensi di colpa nei confronti dei paesi meno sviluppati – le cui basi reali abbiamo recentemente smentito e ribaltato su queste colonne (in realtà sui paesi poveri ricade almeno tanta responsabilità quanto quella addebitata ai popoli più ricchi) –, ideologia trozkista dominante nelle élite transnazionali e più pragmatica volontà di creazione di uno sterminato proletariato globale al servizio delle medesime élite, quale migliore occasione per perseguire i propri obiettivi di una emergenza mondiale – il cambiamento climatico – di tale portata, per di più molto probabilmente reale? Nemmeno lo sforzo di inventarsi una bugia.
Al margine, non si può non riconoscere al presidente del consiglio Matteo Renzi l’essere riuscito a conquistarsi i suoi cinque minuti di celebrità al palazzo dell’Onu rivendicando il ruolo dell’Italia sia nel percorso negoziale, sia come grande paese detentore del primato di produzione pro-capite di elettricità solare fotovoltaica. Peccato che, sul lato della ricerca, la destinazione delle risorse in Italia, rispetto al Pil, sia ultima in tutta l’area Ocse, mentre a partire dal governo Monti è stato fatto di tutto per contenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la cui produzione non solo è quasi rimasta al palo dal 2013, ma da qualche tempo viene perfino bloccata l’immissione in rete dell’elettricità solare, verosimilmente al fine di salvaguardare i profitti certi produttori convenzionali privati.
Francesco Meneguzzo
2 comments
Eccellente articolo, come sempre dottor Meneguzzo 😉
Eccellente articolo, come sempre dottor Meneguzzo 😉