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La Nasa scopre 7 esopianeti simili alla Terra – (VIDEO)

by Paolo Mauri
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Trappist

(Foto Nasa)

Washington, 23 feb – La notizia è stata data ieri sera alle 19 ora italiana in diretta mondiale: la Nasa ha scoperto 7 esopianeti rocciosi simili alla Terra in orbita intorno ad una stella a 40 anni luce di distanza dal nostro Sistema Solare, e tutti potrebbero avere condizioni ambientali tali da permettere la presenza di acqua allo stato liquido; in particolare per almeno 3 di essi, posti al centro della “fascia abitabile”, questa probabilità sembra essere molto alta.

La scoperta, effettuata attraverso il NASA’s Spitzer Space Telescope, è di particolare importanza perchè per la prima volta sono stati osservati esopianeti rocciosi della grandezza simile a quella della Terra orbitanti intorno ad una singola stella. Il dettaglio sembra non da poco ma la grandezza di un pianeta roccioso, oltre alla presenza di acqua allo stato liquido e ad altri fattori, è importante per la possibilità che sia presente la vita come noi la conosciamo: la grandezza di un pianeta roccioso, infatti, ne determina la massa, quindi la gravità, e si ritiene che la vita possa esistere ed evolversi in forme complesse solo a determinate condizioni di gravità, simili a quelle della Terra. La stella intorno a cui orbitano i pianeti, Trappist-1, è un astro diverso dal nostro Sole (di classe G): Trappist infatti è una stella di classe M ovvero una nana rossa ultra fredda con un decimo della massa solare ed un millesimo della sua luminosità. Questo tipo di stelle è quello più numeroso nella nostra Galassia infatti il loro rapporto in confronto a quelle di classe G è di 12/1 e quindi questa scoperta potrebbe cambiare gli obiettivi delle osservazioni astronomiche per la ricerca di altri mondi “abitabili”: in passato si erano ricercate stelle simili al nostro Sole ritenendo le nane rosse poco adatte a formare sistemi planetari interessanti dal punto di vista della ricerca di condizioni adatte a sostenere la vita.

La bassa temperatura di Trappist-1 permette la presenza di acqua allo stato liquido sui suoi pianeti orbitanti ad una distanza molto prossima all’astro, molto più vicina rispetto a quanto accade nel nostro Sistema Solare: tutti e 7 i pianeti infatti orbitano ad una distanza che è minore di quella che separa Mercurio dal nostro Sole. I pianeti stessi sono molto vicini tra di loro: se si avesse la possibilità di trovarsi sulla superficie di uno di essi e si guardasse il cielo, si potrebbero scorgere le strutture geologiche e le nuvole presenti sui mondi vicini che apparirebbero più grandi della Luna nel nostri cielo notturno. Caratteristica di questi esopianeti, oltre ad essere rocciosi, è quella di avere una densità compresa tra il 60 ed il 117% di quella terrestre, quindi, come già dicevamo, una massa molto simile a quella della Terra. Purtroppo però sembra che essi siano legati in modo particolare alla loro stella: il loro periodo di rotazione è sincrono con Trappist-1 pertanto rivolgono sempre la stessa faccia verso l’astro. Quindi l’avere un lato sempre in luce e l’altro sempre in ombra porta a condizioni ambientali estreme come fortissime escursioni termiche e a venti altrettanto forti tra le due facce dei pianeti.

Ci sarà vita? Giusto un po’ il sabato sera, diceva Guzzanti in un celebre sketch televisivo. L’argomento, tornando seri, sarà oggetto delle prossime osservazioni effettuate dal telescopio Spitzer alla Nasa: si cercherà infatti di capire com’è composta l’atmosfera dei pianeti e quindi di individuare se ci siano le condizioni climatiche, geologiche, atmosferiche affinché possa essersi sviluppata in qualche forma. Una cosa è certa, il sistema Trappist-1 è troppo lontano perché sia raggiungibile con i mezzi di cui disponiamo in tempi umani: 40 anni luce equivalgono a 378 mila miliardi di chilometri. La navicella spaziale più veloce mai creata dall’uomo, la sonda Voyager 1, viaggia a 62 mila km/h e impiegherebbe quindi circa 700mila anni per raggiungere gli esopianeti di Trappist-1, un tempo enorme su scala umana, anche più che generazionale, praticamente geologico. La sfida per il futuro dell’umanità quindi è duplice: medica/fisiologica ovvero cercare di allungare la vita umana e di porre rimedio a tutte le conseguenze deleterie per il fisico che derivano dal lunghissimo tempo trascorso nello spazio, e ingegneristica, ovvero cercare di costruire navicelle sia capaci di avere un’energia tale da aumentare di molto la propria velocità, sia capaci di offrire riparo dalle condizioni estreme dello spazio interstellare (come le radiazioni letali) e sostentamento per l’uomo nel comunque lunghissimo viaggio verso altri mondi.

Paolo Mauri

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1 commento

ugo 23 Febbraio 2017 - 4:34

La sfida è smettere di raccontare (in presenza di chi non ha “filtri” per comprendere davvero i messaggi) storie che possano lasciare sottintendere la possibilità di “usare” questi (ipotetici) pianeti per scopi “umani”. La sfida è cercare di fare in modo che l’unico pianeta sul quale possiamo concretamente contare per vivere (la Terra) non finisca a schifio. In primis per un eccesso di presenza umana come quello ormai in essere da almeno una cinquantina d’anni, in costante e patologico peggioramento.

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