Roma, 31 dic – Non facciamoci ingannare da questi pochi giorni di gelo. Il 2014 appena trascorso è stato, climaticamente parlando, davvero storico, ma in senso contrario. Risulta infatti l’anno più caldo da quando sono iniziate le misure regolari della temperatura a terra e in mare, cioè dal 1880, con tutta probabilità anche negli ultimi 4mila anni, e probabilmente negli ultimi 3 milioni di anni. In pratica, quindi, dalla comparsa dell’uomo sulla Terra.
I dati della NOAA-NCDC americana non lasciano scampo: a livello globale, considerando sia i continenti e le isole, sia gli oceani, la temperatura media degli ultimi 12 mesi ha superato quella di tutti gli anni precedenti, incluso il precedente record del 2010 e il 1998 quando imperversava un forte riscaldamento dell’oceano Pacifico tropicale (fenomeno di El Niño), attestandosi su circa 0,6°C oltre la media del periodo 1960-1980 e 1°C oltre la media di inizio del secolo scorso. A chi sembrassero valori tutto sommato contenuti vale ricordare che tra un periodo glaciale (fino a 17mila anni fa) e uno caldo interglaciale (picco circa 5000 anni fa) intercorrono tra 6° e 8°C, maturati nel corso di almeno 10mila anni. Un grado in un secolo significa quindi un riscaldamento almeno 12 volte più veloce rispetto ai cicli naturali, mentre gli 0,6°C aggiunti alla temperatura media negli ultimi 45 anni comporta una velocità di riscaldamento circa 17 volte più rapido rispetto alla norma.
Sull’Italia, altri dati della NOAA-ESRL indicano una sostanziale coerenza con le tendenze globali, ma con un tasso di riscaldamento che dal 1980 si è attestato su valori più che doppi, dell’ordine di 3,4°C al secolo. Grazie alla scorsa estate piuttosto fresca e molto piovosa, come tutti ricorderanno, non è stata tuttavia nel nostro Paese un’annata record, superata dal 2012, dal 2007 e dal 1994, ma non dal 2003, quando l’estate fu rovente. In altre parole, nonostante la variabilità naturale giochi ancora un ruolo importante, il segnale del riscaldamento è decisamente più forte.
Il consenso della comunità scientifica mondiale è ormai unanime sull’attribuzione di questa tendenza sostenuta al riscaldamento del pianeta all’immissione di gas a effetto serra quale risultato principalmente delle attività umane e, tra queste, in primo luogo della generazione di energia da combustibili fossili, e secondariamente dalle pratiche agricole, come testimoniato dal recente, quinto e ultimo rapporto del IPCC – pannello internazionale sui cambiamenti climatici, un organismo ufficiale dell’Onu.
Tra questi gas che alterano il bilancio energetico della Terra, l’anidride carbonica (CO2) la fa da padrone, ma cresce anche il contributo del metano, dotato di un potenziale di riscaldamento molto più grande rispetto all’anidride carbonica e il cui uso sempre più ampio e le cui relative perdite dalle reti di distribuzione si fanno sempre più preoccupanti, come abbiamo già spiegato su queste colonne. In termini di concentrazione equivalente di CO2, si è passati dalle 280 ppm (parti per milione) dell’epoca pre-industriale alle circa 480 ppm di oggi, mentre l’impatto sul clima è aumentato del 70% dal 1979 al 2014.
Tra le conseguenze già in corso di un tale stravolgimento degli equilibri naturali, ricorrono le frequenti e disastrose alluvioni cui il nostro territorio è particolarmente soggetto e vulnerabile: come si è già ricordato su questo giornale, è sufficiente una modesta anomalia termica del mare per scatenare precipitazioni di intensità doppia o anche tripla rispetto al normale, con le conseguenze al suolo che troppo spesso sono state sofferte e documentate anche quest’anno appena trascorso. Al contrario, siccità catastrofiche stanno diventando la normalità in varie parti del mondo, tra cui quasi un terzo degli Usa.
Sulla scala globale, quale conseguenza dell’espansione termica dell’acqua e dello scioglimento dei ghiacciai montani, della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, il livello medio dei mari e oceani si va alzando a velocità molto preoccupanti – circa 3,2 cm al decennio – tanto che numerose isole del Pacifico sono già state abbandonate, e almeno due miliardi di persone sono minacciate dalle intrusioni sempre più frequenti del mare lungo le coste più basse.
Nell’artico, il volume di ghiaccio marino in Settembre – al momento del minimo – è diminuito di 11mila km3 dal 1979: la banchina polare oggi racchiude, al suo minimo di metà Settembre, appena un terzo del ghiaccio che conteneva soltanto 35 anni fa. Oltre alle conseguenze sulla fauna e le popolazioni artiche, l’oceano libero dal ghiaccio si presenta ovviamente molto più scuro, assorbe molta più radiazione solare e questo a sua volta agisce per incrementare il riscaldamento, in una spirale perversa.
Le proiezioni per il futuro prossimo, fino al 2025-2030, indicano l’elevata probabilità di un rapido incremento del riscaldamento globale in conseguenza della transizione naturale periodica dell’oceano Pacifico in uno stato che favorirà il rilascio delle enormi quantità di calore immagazzinato nelle profondità oceaniche, che paradossalmente finora ha attenuato gli effetti dei gas serra. Almeno un altro grado di aumento della temperatura sarà quindi del tutto inevitabile.
Le proiezioni per i prossimi decenni e fino al termine di questo secolo dipendono sia dalla quantità dei gas a effetto serra che è già stata immessa nel sistema, sia da quella che sarà emessa in futuro. Dalla grande quantità di informazioni disponibili anche nella sola sintesi dell’ultimo rapporto del IPCC, consideriamo le seguenti.
Nell’ipotesi in cui le emissioni di gas serra – anidride carbonica e metano in primo luogo – continuino lungo le traiettorie fin qui osservate, la temperatura media globale, già cresciuta di circa 1°C nell’ultimo secolo, aumenterà ancora di circa 4°C fino al 2100, configurando così un vero e proprio ciclo interglaciale completamente artificiale, mentre il livello medio dei mari crescerà tra 60 cm e 1 metro rispetto allo stato attuale, sommergendo gran parte delle coste che si trovano entro oggi due metri dal livello del mare e lungo le quali vivono circa 2 miliardi di persone.
A livello regionale, le temperature aumenteranno più sulla terraferma che sui mari, con massimi di oltre 10°C nell’artico verso la fine del secolo. Sull’Italia e l’Europa occidentale e centrale, il riscaldamento è previsto intorno a 5-6°C. Le precipitazioni diminuiranno sul Mediterraneo (tra il 20% e il 30%), lasciando spazio a siccità prolungate peggiorate dalle temperature più elevate, mentre aumenteranno nelle aree equatoriali e alle alte latitudini. Tuttavia, le precipitazioni estreme aumenteranno quasi ovunque, anche lungo le coste del Mediterraneo, con la conseguenza di una maggiore probabilità di eventi alluvionali estremi. Con una temperatura di 5°C superiore a quella attuale, possono attendersi intensità di precipitazione almeno doppie, se non triple, rispetto a quelle già catastrofiche osservate in questi anni nel corso delle peggiori alluvioni. Una parte di queste conseguenze sono attese già entro il 2030 in conseguenza della prevista accelerazione del cambiamento climatico fin dai prossimi anni.
Infine, l’artico sarà sicuramente libero dai ghiacci, in estate, entro il 2030, presumibilmente scatenando una corsa agli idrocarburi – petrolio e metano – in un’area che improvvisamente sarà diventata più ospitale. Le conseguenze per il clima sono abbastanza semplici da immaginare.
Cosa fare allora? L’Italia lo ha insegnato al mondo, sviluppando nel breve arco di tempo tra il 2008 e il 2013 la maggiore produzione mondiale pro-capite di elettricità dalla fonte solare fotovoltaica, che nelle ore centrali primaverili ed estive – quelle di maggior consumo – riesce a coprire ormai anche oltre il 50% della domanda, e intorno al 10% su base annuale. Una strada che, come ha dimostrato Enel Green Power in una regione del Brasile non più soleggiata del nostro meridione, se sarà ulteriormente perseguita in futuro anche per mezzo di grandi impianti solari, così come eolici e a biomassa, consentirà di abbattere ulteriormente il costo dell’elettricità e soprattutto di portare l’Italia verso l’autentica sovranità energetica per mezzo dei propri impianti e delle proprie fonti.
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] John Abraham, professore di scienze termiche all’università di St Thomas, John Fasullo, ricercatore climatico al centro nazionale per le ricerche in atmosfera di Boulder, Colorado, e Greg Laden, paleoantropologo e comunicatore scientifico, in una importante pubblicazione puntualizzavano un’evidenza scientifica di enorme importanza, che il 93,4% del calore aggiuntivo prodotto dalle attività umane finisce per scaldare gli oceani, almeno fino a 2mila metri di profondità. Aggiungendo che con i dati fino allora disponibili non solo non risultava alcuna “pausa” del riscaldamento globale come qualcuno (sempre meno, per la verità) ha sostenuto fino alla fine dell’anno scorso, ma anzi questo stava progressivamente accelerando, solo che negli ultimi 15 anni gran parte del calore prodotto dai processi energetici necessari alle attività umane, a causa di fluttuazioni naturali, si era nascosto negli oceani, e soltanto dal 2010 aveva cominciato a riemergere alla superficie, producendo i record di caldo misurati dai termometri in quell’anno e, infine, nel 2014 stesso, come abbiamo recentemente documentato su queste colonne. […]