Roma, 17 lug – Intendiamoci, che Carola Rackete guadagnasse 2mila euro al mese come “volontaria” Ong per trasportare clandestini sulle nostre coste, è notizia che fu scoperchiata già all’epoca. Andando a spulciare nelle dichiarazioni personali dei redditi degli europarlamentari del corso appena eletto, però, vengono fuori anche altri redditi interessanti. Più che interessanti, se all’attività della Sea Watch aggiungiamo anche il presunto “attivismo da ecologista” della “capitana”.
Ong dal ricco portafoglio: la Rackete tra Sea Watch e “Freelance ecologism”
Normalmente ci interesserebbe poco o nulla di fare i conti in tasca a qualsivoglia soggetto. Pratica poco indiviabile. Se però la questione tocca un personaggio spacciatosi per volontario e incline alla pura solidarietà, beh, il discorso cambia. E lo stesso soggetto in questione dovrebbe quanto meno assumersene la responsabilità. Beninteso che nessuno si aspetta dalla “capitana” un simile miracolo, noi ci limitiamo a riportare ciò che – con tutta evidenza – è pubblico. E per farla brevissima, la Rackete, tra Sea Watch e lavoro di “freelance ecologist”, rimediava qualcosa come 39mila euro l’anno, di cui 15mila per annata dal “secondo lavoro”. Ovviamente spacciato sempre per attivismo solidale, sebbene con il “paraculismo” dell’aggettivo “freelance”, che sta appunto per attività lavorativa il cui compenso è concordato a seconda del progetto in essere. L’ipocrisia è ben messa in luce dal sito ufficiale della traghettatrice di clandestini più amata dai dem italiani. Per fare un esempio, in un passaggio si cita l’azione intrapresa nel 2018, in cui afferma di essersi “unita alla resistenza contro lo sfratto dell’occupazione della foresta di Hambacher, vicino alla miniera di carbone di Hambach”. Un lavoro? Senza dubbio, la stessa Rackete non può evitare di definirlo come tale. Ben pagato: quanto dichiarato riporta di 15mila euro l’anno. Se ci aggiungiamo l’attività da “volontaria” per Sea Watch che fruttava un arrotondamento da 2mila euro al mese, mica male…
Lecito guadagnare, meno nobile spacciarsi per missionari
Ma allora com’è possibile che tutto ciò sia percepito come una specie di attività missionaria? Non solo il lavoro da “freelance ecologist”, ma anche quello da “volontario Ong”, sopratuttto se quest’ultimo, da solo, viene pagato con uno stipendio che in moltissimi cittadini comuni sognano, senza neanche avvicinarvisi. Si potrebbe infierire sul valore effettivamente solidale di traghettare quelli che, di fatto, sono schiavi e distruggono il già fragile tessuto socioeconomico italiano, ma a parte la vergogna dell’immigrazionismo su cui abbiamo speso energie già molto spesso, qualcuno solleverà mai la questione morale – visto che a sinistra questa espressione piace molto – su un lavoro retribuito esibito in passerella come se fosse un’attività di aiuto del prossimo?
Aurelio Del Monte