Roma, 25 lug – Il vertice Fao tenuto ieri a Roma ha aperto per l’ennesima volta le danze sulla questione della “Fame zero”, obiettivo dichiarato da raggiungere entro il 2030, come riporta l’Ansa.
Fao e “Fame zero”: le parole dei leader
I temi sono tanti e parecchi, ma il coro unanime dichiara ufficialmente come l’anno 2030 sia quello entro cui raggiungere il fantomatico obiettivo della “Fame zero” su cui la Fao, almeno a parole, insiste molto. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ne parla in modo schietto così: “Ciascuno possa godere dei propri diritti e non sia costretto ad emigrare vivendo in pace e con dignità”, aggiungendo che “dobbiamo creare un modello di cooperazione non predatorio con i Paesi africani per garantire loro la possibilità di vivere delle loro risorse. L’Italia è uno dei Paesi più vicini all’Africa, che non è un continente povero ma è pieno di risorse, la metà di quelle mondiali”.
Sulla questione alimentare presente, preoccupa molto la questione della Russia e dello stop all’accordo sul grano. Un fatto che per il premier evidenzia “la mancanza della sicurezza alimentare”, e condiviso anche dal segretatio generale dell’Onu Antonio Guterres. Ma tornando all’Africa, Meloni insiste particolarmente sull’accordo stretto con il presidente tunisino Kais Saied: “E’ un’occasione per sottolineare l’amicizia che intercorre tra i nostri popoli, tra i nostri Paesi – ha detto il Capo dello Stato – Vorrei sottolineare ancora una volta come l’Italia sia al fianco delle Tunisia nelle sfide importanti che vi sono” e “ribadire la nostra volontà di collaborare sempre più intensamente”.
Se non si migliorano le condizioni in Africa, resteranno solo parole
La cosa da sottolineare sempre è che nessuno immagina un mondo in cui si annulli la povertà alla “grillina maniera”, ma è indubbio che le eccessive differenze in termini economici provochino problemi enormi anche a Paesi come il nostro, geograficamente esposti alle rotte di immigrazione clandestina e disperatamente bisognosi di poter riacquisire un minimo – ma proprio un minimo, viste le vicissitudini degli ultimi decenni – di sovranità territoriale. Di conseguenza, anche senza improbabili bacchette magiche, intervenire per quanto possibile sullo sviluppo del continente dirimpettaio, oltre ad essere una bella attività in termini di solidarietà tanto cara a chi non la esercita affatto, limitandosi a importare schiavi, è un dovere assoluto. Riuscire a consolidare un livello di vita quanto meno dignitoso, stabilizzare politicamente molte delle aree africane oggettivamente nel caos, dovrebbero essere i primi passi, ed è ovvio che non sia affatto facile: ma da qualche parte, come si suol dire, si deve pur iniziare. L’accordo con la Tunisia di Kais Saied è un inizio, viziato dal perenne e ineliminabile concetto di “prestito”: quello Fmi a cui l’Ue vincola i suoi aiuti al Paese nordafricano, e a cui lo stesso presidente tunisino ha risposto con scetticismo, perché – perdonate la semplificazione – non è fesso. Se inviare soldi subito in Tunisia può essere indubbiamente un efficace “tappo”, vincolare il Paese a restituzioni praticamente perenni potrebbe trasformarsi in un nuovo inferno. Il nodo dei “debiti” è qualcosa di cui da qualche decennio abbiamo contezza anche in Europa, con lo sciagurato sistema di Maastricht che ce lo fa conoscere piuttosto bene: e sappiamo altrettanto bene, ormai, cosa comporti essere incatenati a un “vincolo” di fatto inesauribile, mentre Paesi che non devono sopportarlo (come Usa e Giappone) hanno concretamente le mani libere per intervenire nel reale (bene o male è un altro discorso). Perché le parole espresse nel vertice Fao non diventino solo parole, occorrerebbe sviluppare seriamente una pacificazione economica con le popolazioni a noi più prossime (senza voli pindarici, ma con semplicissimo senso del bisogno), ma senza porle in una condizione troppo insolvibile che, di fatto, non risolverebbe la loro condizione e non ci permetterebbe di respirare mai, nel presente come nel futuro.
Stelio Fergola