Roma, 25 ago – Mentre proseguono le trattative per condurre M5S e Pd al governo – ultima ipotesi in ordine di tempo quella di Roberto Fico a Palazzo Chigi – a prendere la parola è Giovanni Tria. Il titolare dell’Economia e delle finanze lo fa in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, nella quale traccia un bilancio della sua esperienza in via XX Settembre e delinea il quadro futuro. Più che un testamento, tuttavia, sembra un voler preparare il terreno a mantenersi saldo in tolda.
Tria: “Non possiamo fare deficit”
Le genuflessioni rispetto ai desiderata Ue non si contano. E il nocciolo della questione, che poi è stato anche fra gli elementi alla base della rottura fra grillini e Lega, non può che ruotare attorno ai saldi di bilancio. Il partito di Salvini invocava deficit a gran voce per la flat tax, il M5S rilanciava invece (anche se con non troppa convinzione) per ridurre il cuneo fiscale. In mezzo c’era Tria.
“Da un punto di vista economico per me il deficit non è un tabù. È uno strumento di politica economica, e purtroppo l’Europa lo ha dimenticato”, afferma. E fin qui nulla di male, è banalissima teoria economica anche se da Bruxelles sembrano aver dimenticato più di qualche concetto-base. Se Tria invece lo ricorda, non significa però che intenda metterlo in pratica. E per spiegarlo ricorre ad un giro di parole per dire tutto e il contrario di tutto: “Conta cosa vogliamo fare con questo deficit. Se lo facciamo per aumentare gli investimenti, allora con questi tassi d’interesse conviene fare più deficit. Consideriamo però che già attualmente riusciamo solo con difficoltà a tradurre in investimenti effettivi gli stanziamenti già in bilancio. Basti pensare che noi abbiamo ottenuto quest’anno poco meno di 0,2% di PIL di flessibilità (cioè deficit consentito in più, ndr) sul dissesto idrogeologico e per la manutenzione straordinaria dei ponti, ma nella spesa effettiva siamo molto indietro. Stiamo prendendo provvedimenti straordinari sulle procedure, altrimenti ci ritroveremmo, come anche i governi precedenti, ad aver ottenuto una flessibilità specifica che alla fine verrebbe a cadere, perché non abbiamo fatto questi investimenti. Poi diventerebbe difficile chiederne altra”.
La ragione, sottolinea Tria, è semplice: “E’ quasi analfabetismo economico annunciare deficit che poi forse non servono, oppure annunciarli in anticipo giusto per creare confusione nei mercati”. Immancabili, i mercati: lo spread come gelido artiglio che si fa sentire nel momento di decidere le misure di finanza pubblica. Nascondendo la verità: il tanto temuto spread, nell’era dei tassi bassi e del quantitative easing, è “deciso” dalla Bce. Può oscillare entro una forchetta, ma sotto l’ombrello dell’eurotower (tranne quando Draghi si “dimentica” di aprirlo) è impossibile assistere a fiammate tali da mettere in pericolo i nostri conti.
Se Tria parla come un piddino
Questo Tria lo sa benissimo, ma il guardare la realtà con gli occhiali dell’euromasochismo produce mostri. E quindi il deficit, che pur non considera un tabù, è escluso a priori. Meglio affidarsi all’incirca alla sorte: “All’Italia – chiosa – in primo luogo interessa di più e conviene di più una forte politica espansiva degli altri paesi europei che hanno spazio di bilancio, piuttosto che farlo principalmente noi. Avremmo l’impatto positivo sull’economia, senza il maggiore indebitamento. Per questo dobbiamo partecipare a definire le nuove politiche europee”. Chiedere di allentare i vincoli agli stessi che hanno imposto all’austerità. Praticamente il programma tafazziano del Pd. Il partito, cioè, con cui Tria potrebbe rimanere in sella.
Filippo Burla
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