Roma, 9 apr – Non più di tre mandati ed esclusione per chi abbia una condanna anche solo di primo grado. Queste, tra le altre, le indicazioni che emergono da una mozione approvata ieri a larga maggioranza dalla commissione industria del Senato, presieduta dal senatore Pd Massimo Mucchetti, in merito agli imminenti rinnovi delle cariche nelle principali società controllate, direttamente o indirettamente, dal ministero dell’Economia. Non si tratta di una posizione vincolante ma, avendo ottenuto il parere favorevole da parte del rappresentante del governo nella persona del viceministro Enrico Morando, è lecito pensare che i criteri di nomina verranno concretamente ad essere applicati.
Una posizione contestata, a suo tempo, dall’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni: «Una norma di questo tipo è nello statuto di Total, Esso, Apple e Siemens? No. Perché noi dovremmo averla? Non dico se è buona o cattiva, ma quando introduciamo una norma che nessuno ha, normalmente penso che non ci porta molto bene». Proprio Scaroni sempra essere il primo a poter cadere secondo le linee di indirizzo appena approvate. Non è però da escludere che i requisiti siano proprio tagliati “su misura” del vertice del cane a sei zampe. Scaroni è infatti, fra i vari a.d. in scadenza, a “rispettare” tutte le caratteristiche di ineleggibilità: è al suo terzo mandato ed ha appena ricevuto una condanna penale in primo grado. Situazioni nelle quali non si trovano invece, a titolo di esempio, né Fulvio Conti di Enel né Flavio Cattaneo di Terna. Entrambi al terzo mandato, nessuno di loro ha però sulle spalle alcuna condanna relativa allo svolgimento delle proprie funzioni. Eppure, finiscono anche loro nel meccanismo automatico di esclusione.
Sorge così il più che legittimo dubbio che i criteri di professionalità e onorabilità siano solo un paravento adottato per smantellare sì un sistema di potere consolidato da Berlusconi e Gianni Letta, ma che al di là di una fisiologica “dose” di consociativismo ha prodotto anche importanti risultati. Le società pubbliche che spaziano da Eni a Terna, da Enel a Finmeccanica, da Poste a Sace, rappresentano ancora la forte ossatura di un’economia nazionale improntata al manifatturiero. Senza considerare poi i generosi dividendi staccati ad un governo sempre a caccia di risorse per puntellare i bilanci e le linee di crescita internazionali sulle quali queste imprese si sono affacciate. Eni, a differenza delle sue concorrenti, più che esporsi sulla finanza per compensare il calo delle riserve ha puntato sull’esplorazione alla ricerca di nuovi giacimenti; Enel ha affrontato e sta fronteggiando con successo un cammino improntato alla riduzione del debito (solo quest’anno è sceso di oltre 3 miliardi, al di sotto della soglia dei 40 complessivi) contratto per l’acquisizione della spagnola Endesa che le ha permesso di entrare da protagonista nel dinamico mercato del sudamerica; Terna, pur operando in un contesto pressoché totalmente regolamentato, produce da anni ottimi risultati di gestione.
Autolesionismo, tafazzata, effetto boomerang. I commenti di vari analisti si sono sprecati. Tutti bene o male concordi -Partito Democratico a parte, lo stesso che tuonava contro le leggi ad personam mentre oggi si prodiga in quelle contra personam- a giudicare negativamente una norma che ha poco, pochissimo del tecnico e molto del sapore della vendetta politica. L’interesse dell’Italia non è al momento contemplato fra le procedure.
Filippo Burla