Roma, 9 lug – Si fa presto a dire centrocampista. Compiti difensivi, oneri di impostazione, l’onore dell’inserimento. Mediani, registi, trequartisti, esterni, mezzali, tornanti. Piedi e polmoni, cuore e cervello. La metà campo, chiamata non a caso reparto nevralgico, ancora oggi – nell’epoca in cui la definizione di ruolo continua a sfumare rispetto al passato – è per distacco il settore del rettangolo verde in cui viene richiesta più specializzazione in assoluto. Ci sono poi quei giocatori – moderni o completi che dir si voglia – i quali riescono a portare a casa la pagnotta indifferentemente dalla collocazione tattica. Nella ristretta cerchia, infine, c’è chi prima di altri, magari senza qualità eccelse ma con invidiabile costanza, è arrivato sul tetto del mondo. Il 9 luglio 2006, in mezzo a tanti campioni, ad alzare la nostra quarta coppa iridata c’era anche Simone Perrotta.
Reggina e Bari: gli anni della gavetta
Nato in Inghilterra nella contea della Greater Manchester, ancora bambino torna insieme alla famiglia nelle originarie terre cosentine. Si fa notare dalla Reggina, dove dai Giovanissimi in avanti si fa tutta la trafila del settore giovanile, fino all’esordio in serie cadetta. La prima gara tra i professionisti è datata settembre 1995 contro – incroci del destino – quel Chievo Verona che pochi anni più tardi segnerà un crocevia fondamentale della sua carriera.
Triennio sullo Stretto per guadagnarsi in chiusura di millennio il grande salto alla Juventus. La concorrenza spietata (capitan Conte, Deschamps, Davids, il pallone d’oro Zidane) lascia pochissimo spazio ma contribuisce alla crescita del giovane classe ‘77. Il biennio successivo lo passa a Bari. Impiegato sia da mediano che da centrocampista puro in Puglia trova continuità mostrando al pubblico della Serie A le sue poliedriche caratteristiche: corsa, lettura, interdizione, inserimento. Il piede non è di quelli fatati ma il nostro è sempre lì, a portare sostanza nel mezzo del campo.
Il Chievo dei miracoli
Estate 2001, il Chievo si presenta da esordiente assoluto in massima serie. Dovrebbe essere la vittima sacrificale, diventa una duratura rivelazione. A gestire ogni operazione sulla riga di mezzeria è – insieme al genio provinciale di Corini – proprio Perrotta. Il quale, fino a quel momento, ha sempre segnato poco. Ma con la maglia dei veronesi ci mette solamente cinque minuti a bucare il portiere avversario (prima rete dei clivensi in Serie A) acquisendo così quel salutare vizio del gol che a Roma, tra campionato e coppe, lo porterà addirittura in doppia cifra.
Perrotta, un simbolo della Roma
Nel triennio gialloblù Simone si veste anche d’azzurro. Intanto nel 2004 arriva la chiamata dalla capitale, all’ombra del Colosseo ritrova il tecnico del Neri. Il vero salto di qualità però lo deve al successivo allenatore dei giallorossi, ossia Luciano Spalletti. Rimasto senza attaccanti, l’allenatore oggi campione d’Italia fa di necessità virtù inventandosi Totti falso nove e spostando in avanti il nostro come ago della bilancia tra i delicati equilibri che centrocampo e reparto avanzato richiedono. E’ la Roma del capitano e di De Rossi, è vero. Ma anche di Perrotta: in nove stagioni colleziona oltre trecento presenze, quasi cinquanta marcature e tre coppe nazionali.
Nel ridisegnato 4-2-3-1 anticipa gli atipici trequartisti del pallone moderno. Uomo d’interdizione a ridosso della porta avversaria, giocatore completo che – a seconda dell’evenienza – interpreta più ruoli.
Il gregario campione del mondo
Anzi, sa farli praticamente tutti. Sì perché – forse un po’ a sorpresa – il giallorosso completa il curriculum proprio nell’unico mondiale disputato (due invece le competizioni europee riservate alle nazionali). Mezzala prima, esterno largo a sinistra poi. Perrotta, chiamato da Lippi come seconda linea, parte al contrario sempre titolare. Come finì il percorso tedesco lo sappiamo tutti: in mezzo a colleghi più idolatrati stringe anche lui tra le mani la coppa iridata, primo centrocampista moderno a diventare campione del mondo. Se non l’avessero già fatto, ci sarebbe da erigergli una statua.
Marco Battistini
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