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Savona difende la manovra e attacca l'Ue: "Così va contro un iceberg"

by Adolfo Spezzaferro
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Roma, 9 ott – Paolo Savona difende le politiche economiche del governo Lega-M5S e attacca l’Unione europea. Il ministro degli Affari europei, nel corso di una conferenza stampa in cui ha definito la manovra “corretta, cauta e moderata”, ne ha anche per Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ai quali ha rimproverato il fatto di aver varato un governo con quattro ministri tecnici, “io non lo avrei fatto”.
Poi, Savona si è scagliato contro l’Ue. “Credo che nessuno abbia interesse a che l’Italia entri in una grave crisi e Draghi ci sarà fino al 2019“, ha premesso. E ancora, secondo il ministro la Ue sul livello di deficit “tiene il pilota automatico: ma se rischia di andare contro un iceberg, tiene il pilota automatico lo stesso?”.
Nel dettaglio, il ministro per gli Affari europei difende la scelta del governo di alzare al 2,4% del Pil l’asticella del deficit 2019. “Dicono che il 2,4% di deficit sia troppo? Cosa dobbiamo fare con una politica monetaria che inizia a diventare cautelativa e con il rallentamento della crescita internazionale?“, è la domanda retorica posta dal ministro nel corso di un incontro nella sede dell’associazione della stampa estera.
La crescita del Pil potrebbe raggiungere il 2% nel 2019 e il 3% nel 2020, sostiene Savona, che poi difende il suo collega all’Economia Giovanni Tria: “Affronta il più difficile dei compiti e richiede rispetto”. A tal proposito va ricordato che proprio Savona era stato indicato da Lega e M5S alla guida del Mef. Ma – ormai è storia – il presidente della Repubblica Mattarella era contrario.
Il programma economico del governo ”è moderato e con tutte le cautele necessarie”. ”La nostra politica è cauta e moderata rispetto alle condizioni reali del paese”, ha aggiunto, riferendosi ai piani del governo prefigurati con la Nota di aggiornamento al Def. Il ministro si è soffermato sull’importanza di rilanciare in modo incisivo il Pil. ”Senza crescita – sottolinea Savona – la situazione di difficoltà di debito e banche aumenta. Gli investimenti sono cruciali per la crescita”.
Poi l’economista lancia l’avvertimento: se l’Ue dovesse bocciare il programma economico del governo sarà ”il popolo” a decidere. “Cosa succederebbe se l’Unione europea si mettesse in una posizione conflittuale verso questo programma del governo così cauto e moderato? Io non lo so, deciderà il popolo non io, io mi metto da parte”, afferma Savona. ”Alcune provocazioni, con un certo stile” sono “piuttosto pesanti” afferma, in riferimento al botta-risposta tra il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e il vicepremier Matteo Salvini. Tuttavia, sottolinea, “il messaggio che ‘il mercato insegnerà agli italiani come votare’ io lo trovo molto più insultante di quello che risponde ‘non è sobrio quando parla”.
Quanto ai rischi dell’impatto della fine del quantitative easing per l’Italia, il ministro Savona dice di non aver “perso fiducia”. “Draghi resta lì fino al 2019 – conclude -. Non credo che nessuno abbia interesse che l’Italia entri in una grande crisi”.
Adolfo Spezzaferro

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Cesare 9 Ottobre 2018 - 9:59

E’ chiaro che i burocrati della commissione non eletti dai popoli europei sono terrorizzati dalla nostra prossima finanziaria.Con una maggiore spesa pubblica è noto che c’è sviluppo, ancora di piu’ se è lo stato a produrre la moneta come ad esempio con i minibot non dovendo pagare indietro interessi su tale denaro e rimborsi agli usurai .Cio’ smentirebbe le loro ricette di austerità volte ad affamare e schiavizzare le persone togliendogli ogni diritto e bene pubblico e privato tramite un euro privato prodotto a costo zero dalla BCE privata e moltiplicato dalle banche italiane tutte privatizzate dal 1992 in poi.Si troverebbero quindi totalmente screditati ed il loro gioco a favore delle oligarchie sarebbe del tutto smascherato presso il popolo
E’ chiaramente una cosa che loro e i loro pennivendoli nazionali non possono fare passare e lo vediamo dalla stampa che rema contro il paese ed il suo sviluppo e ci vuole far finire come la Grecia, costretta ora a vendere le sue isole alla Germania

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