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Roma, 28 mar – I tempi dell’intesa che ha portato (con estrema rapidità) all’elezione dei presidenti di Camera e Senato, sembrano già lontani. Tra Salvini e Di Maio, i due vincitori delle elezioni, giovani e pragmatici leader che dopo le nomine di Roberto Fico alla Camera e di Elisabetta Casellati al Senato sembravano già avviati a trovare un accordo per un futuro governo, le temperature sono diventate improvvisamente più fredde. Al centro della questione ci sono due nodi: il nome del premier e Silvio Berlusconi. A colpire per primo è stato Luigi Di Maio, rivendicando per sé il ruolo di futuro presidente del Consiglio: “E’ la volontà popolare che conta, il M5S ha preso il 32%. E’ finita l’epoca dei governi non votati da nessuno”. Un modo per ribadire la sua centralità rispetto a Salvini e per dare risposte ad una base già sul piede di guerra all’idea di un accordo di governo con Silvio Berlusconi.
La risposta di Salvini era arrivata a stretto giro: “Se Di Maio dice “o io o niente” sbaglia, perché oggi è niente”, spiegando come non avrebbe accettato aut aut su Forza Italia: “Se dicono fuori Fi, arrivederci”. La sfumatura Silvio Berlusconi-Forza Italia non è affatto secondaria, perché come ricorda lo stesso segretario della Lega in una intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera “l’esclusione di Forza Italia non esiste, se avessimo applicato questo tipo di atteggiamento, oggi non avremmo né il presidente della Camera né quello del Senato”. No all’esclusione di Forza Italia come forza politica, ma di Berlusconi dal tavolo delle trattative sì. Almeno questo era stato il metodo utilizzato per le Camere e chissà che non possa rappresentare una chiave anche per la partita del nuovo esecutivo. Per Denis Verdini, uno che di inciuci se ne intende, “il governo nascerà con la stessa maggioranza costruita per eleggere i presidenti delle Camere”. L’ideologo del Patto del Nazareno fa questa previsione: “la strada è tracciata ed è quella di un passo indietro di Salvini e Di Maio che apra la strada di Palazzo Chigi a un terzo che sarà una figura di riferimento e loro potranno fare uno il vicepresidente del Consiglio o l’Interno, o uno gli Esteri e uno si prende l’Economia”.
Se Di Maio non pone alternative al suo nome come futuro premier, Salvini già mostra aperture a figure terze, purché siano espressione del centrodestra: “Io non penso a figure esterne o tecnici, gli italiani hanno già dato. Io credo che il candidato premier debba essere indicato dal centrodestra, per il semplice fatto che è la coalizione che ha vinto”. L’attuale muro dei 5 Stelle però, non fa escludere al segretario del Carroccio un possibile ritorno alle urne dato per il momento “al 50%”. “Se mi rendessi conto che non c’è una via di uscita, che nessuno è disposto a fare passi indietro, bisognerebbe tornare a chiedere agli italiani“. La realtà però è ben diversa e tra le forze politiche nessuno sembra davvero intenzionato a tornare al voto. Dunque le prese di posizione di questi giorni sembrano più che altro volte ad alzare la posta in gioco ora che inizieranno le vere trattative, con Salvini e Di Maio che hanno già ammesso che si incontreranno “in campo neutro, alla Camera o al Senato” la prossima settimana. Ma oltre all’incontro tra i due leader il M5S fa sapere che “incontrerà tutte le forze politiche”, prima dell’inizio delle consultazioni ufficiali al Quirinale.
I più informati sostengono che non basterà un solo giro di consultazioni, che anzi potrebbero servirne due o addirittura tre, prima che Mattarella decida di dare un incarico a qualcuno. E il Pd? Nonostante il neo capogruppo Andrea Marcucci ribadisca il ruolo di opposizione del suo partito “ascoltiamo tutti ma c’è una delibera molto chiara del Partito democratico, e cioè che le forze che hanno vinto si mettano d’accordo”, le trattative con il M5S non sono in realtà mai cessate. Del resto Di Maio lo aveva più volte ribadito che la partita per l’elezione dei presidenti delle Camere fosse slegata da quella sulla nascita del nuovo esecutivo.
Dunque tutte le strade restano aperte, con Di Maio che punta a dividere Salvini da Berlusconi, puntando sull’inaffidabilità del Cav “a Fico sono mancati 60 voti di Fi alla Camera”, aveva ricordato sempre ieri, con l’obiettivo di accordarsi solo con la Lega (o in alternativa col Pd) per giocare un ruolo dominante in un futuro governo, mentre Salvini gioca una doppia partita: tenere unito il centrodestra per avere potere contrattuale ma al tempo stesso marginalizzare la figura di Berlusconi. Nutrendo forse una speranza segreta e inconfessabile: non arrivare a palazzo Chigi a questo giro, gridare all’inciucio e farsi trovare più forte e pronto la prossima volta.
Davide Di Stefano
La risposta di Salvini era arrivata a stretto giro: “Se Di Maio dice “o io o niente” sbaglia, perché oggi è niente”, spiegando come non avrebbe accettato aut aut su Forza Italia: “Se dicono fuori Fi, arrivederci”. La sfumatura Silvio Berlusconi-Forza Italia non è affatto secondaria, perché come ricorda lo stesso segretario della Lega in una intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera “l’esclusione di Forza Italia non esiste, se avessimo applicato questo tipo di atteggiamento, oggi non avremmo né il presidente della Camera né quello del Senato”. No all’esclusione di Forza Italia come forza politica, ma di Berlusconi dal tavolo delle trattative sì. Almeno questo era stato il metodo utilizzato per le Camere e chissà che non possa rappresentare una chiave anche per la partita del nuovo esecutivo. Per Denis Verdini, uno che di inciuci se ne intende, “il governo nascerà con la stessa maggioranza costruita per eleggere i presidenti delle Camere”. L’ideologo del Patto del Nazareno fa questa previsione: “la strada è tracciata ed è quella di un passo indietro di Salvini e Di Maio che apra la strada di Palazzo Chigi a un terzo che sarà una figura di riferimento e loro potranno fare uno il vicepresidente del Consiglio o l’Interno, o uno gli Esteri e uno si prende l’Economia”.
Se Di Maio non pone alternative al suo nome come futuro premier, Salvini già mostra aperture a figure terze, purché siano espressione del centrodestra: “Io non penso a figure esterne o tecnici, gli italiani hanno già dato. Io credo che il candidato premier debba essere indicato dal centrodestra, per il semplice fatto che è la coalizione che ha vinto”. L’attuale muro dei 5 Stelle però, non fa escludere al segretario del Carroccio un possibile ritorno alle urne dato per il momento “al 50%”. “Se mi rendessi conto che non c’è una via di uscita, che nessuno è disposto a fare passi indietro, bisognerebbe tornare a chiedere agli italiani“. La realtà però è ben diversa e tra le forze politiche nessuno sembra davvero intenzionato a tornare al voto. Dunque le prese di posizione di questi giorni sembrano più che altro volte ad alzare la posta in gioco ora che inizieranno le vere trattative, con Salvini e Di Maio che hanno già ammesso che si incontreranno “in campo neutro, alla Camera o al Senato” la prossima settimana. Ma oltre all’incontro tra i due leader il M5S fa sapere che “incontrerà tutte le forze politiche”, prima dell’inizio delle consultazioni ufficiali al Quirinale.
I più informati sostengono che non basterà un solo giro di consultazioni, che anzi potrebbero servirne due o addirittura tre, prima che Mattarella decida di dare un incarico a qualcuno. E il Pd? Nonostante il neo capogruppo Andrea Marcucci ribadisca il ruolo di opposizione del suo partito “ascoltiamo tutti ma c’è una delibera molto chiara del Partito democratico, e cioè che le forze che hanno vinto si mettano d’accordo”, le trattative con il M5S non sono in realtà mai cessate. Del resto Di Maio lo aveva più volte ribadito che la partita per l’elezione dei presidenti delle Camere fosse slegata da quella sulla nascita del nuovo esecutivo.
Dunque tutte le strade restano aperte, con Di Maio che punta a dividere Salvini da Berlusconi, puntando sull’inaffidabilità del Cav “a Fico sono mancati 60 voti di Fi alla Camera”, aveva ricordato sempre ieri, con l’obiettivo di accordarsi solo con la Lega (o in alternativa col Pd) per giocare un ruolo dominante in un futuro governo, mentre Salvini gioca una doppia partita: tenere unito il centrodestra per avere potere contrattuale ma al tempo stesso marginalizzare la figura di Berlusconi. Nutrendo forse una speranza segreta e inconfessabile: non arrivare a palazzo Chigi a questo giro, gridare all’inciucio e farsi trovare più forte e pronto la prossima volta.
Davide Di Stefano
2 comments
…..viste le premesse…di Maio non può rinunciare al ”primo” posto senza scontentare la base e una terza persone garante porterebbe ad ugual fine. Non possono permettersi di perdere consensi rischiando, in caso di imminente voto politico, di finire al III posto in classifica….Salvini è quello con più problemi, dovendo accontentare più ”forze” politiche, essendo un gruppo di coalizione e avendo in animo di prendere il bacino elettorale del berlusca..Gran bel casino….Meglio sarebbe alleanza 5S lega per una riforma elettorale
maggioritario presidenziale da fare in un paio di mesi e poi subito al voto..
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