Torino, 13 gen – Sentenza storica per i rider. Ai fattorini di Foodora spetta lo stesso trattamento dei lavoratori subordinati. Lo ha deciso la Corte d’appello di Torino, ribaltando l’esito del processo di primo grado, ha accolto in parte il ricorso presentato dai cinque rider della multinazionale di consegna di cibo a domicilio. I togati hanno riconosciuto “il diritto degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione all’attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore di Foodora sulla base della retribuzione diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto merci dedotto quanto percepito”. Detto in parole povere: i ricorrenti non verranno riassunti ma avranno diritto ad un conguaglio per il periodo di lavoro svolto per la società.
Da oggi è probabile che molti dei diecimila rider presenti in Italia scelgano la via giudiziaria per vedersi riconoscere i loro diritti. Una strada che, seppur legittima, rischia di essere pericolosa. Non è detto, infatti, che la sentenza faccia giurisprudenza, anche se crea un importante precedente. È chiaro che ora la parola passa al governo. In particolare al vicepremier Luigi Di Maio che al primo appuntamento come ministro del Lavoro scelse di incontrare i rider promettendo loro “diritti e salario minimo garantito”. Peccato, però, che poi nel Decreto Dignità le norme che dovevano tutelare queste categorie svantaggiate siano state stralciate. Oggi, dopo il pronunciamento dei magistrati torinesi, la questione può essere messa di nuovo all’ordine del giorno.
C’è anche da dire che non è affatto facile avviare una contrattazione collettiva con le multinazionali della gig economy. Si tratta, infatti, di aziende che con una certa facilità tendono ad aggregarsi per avere una dimensione globale. Ad esempio Foodora Italia ha cessato le sue attività ed è stata acquisita dell’altro gigante del food delivery, la spagnola Glovo. Tuttavia, entrambe fanno parte della holding tedesca Delivery Hero. La finanziarizzazione dell’economia non risparmia neanche la consegna di una pizza a domicilio. Sarà per questo che il fattorino è considerato una sorta di libero professionista. Questo sistema ha trasformato il dipendente in un libero collaboratore, indipendentemente dalla mansione svolta e dalla paga ricevuta. Il rider, dunque, non è un lavoratore subordinato ma qualcuno che si offre per svolgere una determinata attività tramite un’applicazione on line. Se poi quest’ultimo trascorre le sue giornate in bici a consegnare pasti caldi per pochi euro è una sua libera scelta. Forse ama stare all’aria aperta. Oppure vuole smaltire qualche chilo di troppo. La salute come si sa viene prima di tutto. Ed è per questo che Deliveroo, ha introdotto a maggio 2018 una nuova polizza che copre infortuni e danni a terzi durante l’attività. A dircelo è Il Sole 24 Ore, specificando che l’assicurazione garantisce massimali elevati, e prevede un rimborso in caso di inattività temporanea del rider a seguito di sinistro, a prescindere dal veicolo utilizzato per svolgere le consegne. Ciò può sembrarci moderno in realtà segna un ritorno al passato. Sarà difficile dunque parlare di ferie, malattia e tredicesima con i nuovi padroni delle ferriere. Per questo è necessario formulare un sistema di regole che tuteli anche i cosiddetti “lavoretti”. Non basta un giudice a Torino.
Salvatore Recupero