Milano, 12 ott – Nascerà al posto del vecchio teatro Smeraldo di Milano il nuovo Eataly meneghino. Di certo, è sempre una strana sensazione, quella di veder sparire un teatro per far posto ad un maxistore; qualcosa che attiene ad un generale clima di smobilitazione, ad una resa incondizionata. Ti immagini coppie, gruppi di amici e famiglie impegnate non più a scegliere lo spettacolo migliore, ma se mangiare bufala o tartufo.
Questa volta però esiste una seppur parziale consolazione. Il teatro verrà sostituito da una specie di tempio delle tradizioni alimentari italiane. Un marchio che sembra resistere alla colonizzazione economica francese, spagnola, indiana e chi più ne ha più ne metta. Un luogo dove lavoreranno dalle due alle cinquecento persone, dichiarano dalla società. Mica poche in un periodo nel quale le cronache economiche ci riportano quotidiani e drammatici bollettini di guerra su chiusure e licenziamenti di massa.
Lavoreranno, appunto, ma non lavorano ancora; dopo tanti annunci, si dovrà attendere il nuovo anno per l’inaugurazione.
Già, perché dopo anni di lavori ed una piazza paralizzata per la realizzazione di box sotterranei che, secondo uno schema consolidato in tutta Italia, sono costati pazienza, salute e soldi ai residenti, i lavori dello showroom del gusto non possono ancora iniziare. Una piazza tartassata dalla malasorte, piazza XXV aprile. Un milione e 240 mila euro per oneri di urbanizzazione, lamenta il patron del marchio, Farinetti, senza supporti pubblici in materia di adempimenti burocratici. Un investimento in grado di creare economia, lavoro, affari in quella Milano un tempo culla di economia, lavoro ed affari, senza che le pubbliche amministrazioni coinvolte – per progetti del genere possono essere parecchie, da quella più prossima, il municipio, a quella più distante, la regione, passando attraverso comune e provincia – fossero in grado di creare percorsi amministrativi preferenziali.
Insomma la solita storia tutta Italiana. Mentre, da una parte, ci tocca assistere al continuo e stucchevole piagnisteo serale nei talk show di falsa denuncia, dall’altra non si è in grado di dar vita alla più semplice delle riforme della pubblica amministrazione: non tagli indiscriminati e blocchi contrattuali selvaggi e fuori dal tempo, ma obbiettivi da raggiungere e gente in grado di verificarli. Basterebbe così poco, solo poco di più di quanto sia in grado di uscire dalla testa di Brunetta e D’Alia.
Andrea Antonini