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Moda: i prodotti del Made in Italy sono fatti da mani cinesi?

by Salvatore Recupero
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Firenze, 18 mag –  Nel settore della moda, dietro ai pregiati prodotti del Made in Italy c’è lo sfruttamento della manodopera cinese. Questo è quello che emerge da un’inchiesta pubblicata su Il Sole 24 Ore. Stiamo parlando di borse Prada o Burberry. Ovviamente queste aziende fino ad oggi erano allo scuro di questi fatti. Questo, però, è un aspetto che approfondiremo più avanti. Intanto, vediamo cosa hanno scoperto i giornalisti del quotidiano di Confindustria seguendo un blitz della Guardia di Finanza nei capannoni di Campi Bisenzio nei pressi di Firenze.

L’operazione della Guardia di Finanza

L’ispezione viene effettuata in due capannoni a guidarla il maggiore Mario Aliberti, comandante del 2° Nucleo operativo metropolitano della Guardia di Finanza di Firenze. Nel primo opera un imprenditore cinese, con regolare contratto con le case madri, produce alcuni modelli di borse per Prada e Burberry. La scena che si trovano davanti i baschi verdi (coadiuvati dai funzionari dell’Ispettorato del lavoro e dell’Ausl Centro Toscana) è quella a cui siamo abituati. Decine di operai che lavorano e mangiano negli stessi spazi. Alcuni di loro non interrompono neanche le loro attività. L’equipe riscontra numerosi violazioni alle leggi sull’immigrazione, lavoro e salute, partono già i primi contatti della Guardia di Finanza con i marchi del lusso che hanno commissionato la produzione delle borse.

Nel secondo capannone la situazione è addirittura peggiore della prima. Qui regna il caos: macchinari in pessime condizioni, il pellame e le borse sono accatastate alla rinfusa. I marchi (che non hanno nulla a che fare con le irregolarità commesse) sono Gianni Chiarini e Cristinaeffe.

C’è, però, dell’altro. Dietro le pareti di legno si nascondono dei letti su cui riposa chi lavora in quel tugurio. Insomma, un’assoluta promiscuità tra la vita privata e il lavoro. Inutile dire che le condizioni igieniche, per evidenti motivi, sono assolutamente precarie. Quanto descritto dai giornalisti non ci sorprende. Sono fatti che vengono raccontati da anni. È necessario, però, soffermarsi sulle cause per comprendere meglio la genesi di questo fenomeno. Andiamo con ordine.

La risposta dei big della moda e il problema dell’esternalizzazione

I big della moda hanno stigmatizzato l’avvenuto e prenderanno al più presto provvedimenti. Il Gruppo Prada dichiara di interrompere immediatamente qualsiasi rapporto con le aziende che non rispettano non solo la legislazione vigente ma anche gli impegni assunti nei confronti della casa madre. Negli stabilimenti incriminati chiarisce l’azienda non veniva assemblato il prodotto finito ma venivano solo eseguite delle lavorazioni intermedie. In pratica i fornitori di cui si avvale l’azienda avevano a loro volta subappaltato alcune lavorazioni.

Stesso discorso vale per Burberry. L’azienda chiarisce che la ditta finita al centro dell’indagine “è stata sottoposta a revisione contabile nel dicembre 2018 e si è rivelata conforme, pertanto siamo rimasti estremamente delusi dei risultati dell’indagine svolta delle autorità italiane”. Alla luce di quanto è emerso anche qui la maison di moda sospenderà i rapporti con il proprio subappaltatore.

Nelle risposte fornite dalle aziende di moda si comprende che il vero problema non è tanto la mancanza di regole ma l’impossibilità di farle applicare. Se, infatti, ogni terzista appalta a sua volta ad un’altra azienda la produzione di un semilavorato, chi detiene il marchio non potrà mai verificare il rispetto degli standard richiesti dalla legge. È l’esternalizzazione a generare condizioni di vita pessime per le maestranze. Se la catena della produzione diventa incontrollabile è facile aggirare la legislazione. Ma non è solo questo il problema.

La Toscana provincia del Celeste Impero

Nel distretto toscano il subappalto di manodopera si intreccia anche con l’immigrazione clandestina. I controlli hanno portato all’identificazione di 41 lavoratori irregolari, di cui 25 in nero (quattro dei quali clandestini). Alcune attività sono state temporaneamente sospese e successivamente riaperte dopo il pagamento di una sanzione di duemila euro. Senza contare che complessivamente sono state irrogate multe per quasi 120mila euro. Mentre scriviamo sicuramente chi ha subito queste sanzioni si starà già riorganizzando per far ripartire la sua attività. L’opera della Guardia di Finanza seppur meritoria non è affatto sufficiente, serve una risposta politica.

La concorrenza nei confronti dei nostri imprenditori è assolutamente sleale. Un fiorentino che avvia un’attività è consapevole dei controlli a cui sarà sottoposto.  Lo stesso discorso non vale per chi viene dal Celeste Impero. All’atto dell’iscrizione presso la Camera di commercio alcuni datori di lavoro, alla voce “luogo di nascita”, hanno dichiarato “Cina Repubblica popolare (Cina)”. Se non conosciamo neanche la città natale come fanno le autorità preposte a verificare la liceità del loro operato. E questo è solo un esempio per comprendere l’assenza di regole che investe il settore della moda.

Se, dunque, si vuole tutelare il Made in Italy non basta dunque uno spot pubblicitario. Ciò che è avvenuto a Prato dovrebbe averci insegnato qualcosa. Mentre le storiche imprese tessili pratesi si ritrovavano fuorigioco perché impossibilitate a competere, l’area industriale cittadina cominciò a popolarsi di aziende cinesi. Ciò ha avuto un notevole impatto demografico: quello toscano diventa il primo comune italiano per incidenza degli stranieri sulla popolazione residente (18,9%). La dissoluzione del tessuto produttivo ha modificato anche il volto delle nostre città. Se si vuole fermare questo declino il governo non può più permettersi il lusso di girarsi dall’altra parte.

Salvatore Recupero

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5 comments

rossa pink 18 Maggio 2019 - 10:46

all’oscuro
non allo scuro

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Maurizio Fulignati 18 Maggio 2019 - 10:57

E’ da perlomeno 15 anni che succede , e’ cosa nota , molto nota , e le case “madri” lo sanno molto molto molto bene ma non gli interessa , nell’empolese tutte le aziende rimaste vive dopo il 2008 licenziatarie o produttrici di grandi marchi assegnano le loro produzioni a terzisti cinesi .
Ci sono stati interventi della GdF nel passato con sequestri , multe e chiusura di attività’ con clandestini e manovalanza minorile ma tutto poi ritorna come prima e , ripeto , le case madri lo sanno molto bene .
Se volete vedere giacche , giubbotti e giacconi con il marchio Armani , Loro Piana , Burberry , Max Mara , San Laurent etc etc nei laboratori cinesi basta che vi fate un giro ovunque nell’empolese , la cosa non e’ alla luce del sole !

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Youssefian Nushin 15 Febbraio 2020 - 5:02

Figurati ! I LUXURY BRANDS lo sanno da sempre ! Perché vogliono spendere di meno ,se ne sbattono le palle. Hanno aspettato a fare i milioni e poi ora mettono la bella faccia dicendo che bloccheranno la produzione con chi trasgredisce le regole etiche . MA SMETTETELA E RISPETYATE L’ITALIA E IL MADE IN ITALY PRODUCENDO QUI IN ITALIA E DANDO LAVORO ALLE AZIENDE ITALIANE. VI COSTA TROPPO EH? CHE SPENDETE 5- 30 EURO A BORSA CON QUALITA’ BASSA PER FARLA E LA RIVENDETE A 5000 EURO ! VERGOGNA . SFRUTTATE LA GENTE E NON VE NE FREGA UN CAZZO

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Firenze, adesso i rom rubano ai cinesi. Razziati i magazzini di 20 imprenditori | Il Primato Nazionale 29 Novembre 2020 - 5:20

[…] 29 nov – Non paghi di derubare gli italiani, adesso i rom vanno anche dai cinesi. Succede a Firenze dove i Carabinieri della stazione di Peretola, durante un ordinario controllo […]

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