Roma, 11 ott – La collaborazione con quasi cento testate, dovuta alla continua ricerca di spazi liberi, rappresenta perfettamente la personalità di Massimo Fini, giornalista fuori dagli schemi. Attualmente lavora per Il “Fatto Quotidiano”, Il “Gazzettino” e dirige il mensile “La Voce del Ribelle” con la collaborazione di Valerio Lo Monaco. Nonostante da oltre quarant’anni faccia questo mestiere, recentemente non ha risparmiato critiche alla categoria dei giornalisti: “in Italia la stampa ha smesso da molto tempo di fare il suo mestiere, i giornalisti sono più corrotti dei politici, si vendono per poco”. A differenza di molti colleghi, Fini non ha mai barattato la propria onestà intellettuale: “se in un’inchiesta dovessi scoprire che mia madre è una puttana, scriverei che mia madre è una puttana”.
Per questo motivo risultano interessanti le dichiarazioni rilasciate recentemente a Il Giornale, in un’intervista relativa allo spettacolo di Labini “Nerone. Duemila anni di calunnie”, ispirato da un libro dello stesso Fini.
Le frecciate a Matteo Renzi non potevano mancare: la sua politica è “del tutto basata sul virtuale, non c’è nulla di concreto. Renzi recentemente è andato da Barack Obama. Obama quando è venuto in Italia l’unica cosa che ha saputo dire era che il Colosseo è più grande di un campo da baseball. Sono due poveretti che non contano più nulla di fronte a Cina, Russia e altre potenze emergenti mondiali”. Renzi, secondo Fini, continua con “il solito tributo all’alleato presunto importante”, mettendo così a forte rischio l’incolumità dei suoi concittadini, come sostenuto qualche mese fa: “è evidente che se i caccia americani e i droni continueranno a bombardare i guerriglieri dell’Isis, intromettendosi così in una guerra civile senza averne alcun titolo, essendone anzi la causa originaria per la sciagurata aggressione all’Iraq del 2003, l’Isis porterà la guerra in Occidente. Con le armi che, in questo caso, ha a disposizione: il terrorismo. E l’Italia grazie agli infantilismi di Renzi sarà uno dei primi obbiettivi”.
Matteo Renzi, quindi, emblema di una politica di dipendenza nei confronti dell’alleato americano. Matteo Renzi, per questo motivo, lontano anni luce da Andreotti, “l’unico ad aver tentato una politica autonoma: ha fatto una politica di avvicinamento al mondo mediterraneo, anche molto abile e molto coraggiosa. In un altro paese sarebbe stato un grande statista. Nel nostro è stato a metà un grande statista e a metà un delinquente. Perché purtroppo in Italia non può non andare così. Il giornale per il quale scrivo (Il fatto quotidiano, n.d.a.) insiste sul parallelo Andreotti-belzebù, i contatti con la mafia… Il fatto è che questi contatti ce li avevano tutti. Anche l’integerrimo Ugo La Malfa aveva il suo uomo in Sicilia, Aristide Gunnella, che era un mafioso…”
Tutti tranne uno: Benito Mussolini. “L’unico regime che ha davvero combattuto la mafia è stato il fascismo. Un regime forte non può accettare che ci sia all’interno un altro regime forte. Poi, è noto che la mafia assume il potere che assume perché gli americani l’hanno usata come appoggio per lo sbarco in Sicilia”. Resistenza e mafia, binomio ormai riconosciuto insomma.
Il fascismo, però, era una dittatura, si potrebbe obiettare. Massimo Fini non sarebbe d’accordo, o meglio, Massimo Fini vede nella società contemporanea una forma di dittatura, la dittatura del pensiero unico. Basti pensare “al controllo del linguaggio, completamente asservito alla correttezza politica. Non si può più dire “frocio”. Non si può più dire “finocchio”. Sono infinite le cose che non puoi più dire in Occidente. E’ una cosa orwelliana, è un aspetto del totalitarismo più complessivo. Questa società di fatto non tollera idee che siano sovversive. E’ un sistema soft di totalitarismo”.
Come se ne esce? “Uno scrittore può cercare di svegliare le coscienze. Ma il pessimismo non permette di indicare una via d’uscita. Ma non dipende da noi. Questo mondo, come tutti i mondi totalitari imploderà su se stesso”. Per questo, sarà necessario farsi trovare pronti e con le coscienze sveglie.
Renato Montagnolo