Roma, 4 sett – Il governo di Giorgia Meloni è già alla ricerca di spiccioli per la manovra finanziaria. Come ogni esecutivo italiano negli ultimi trent’anni. Si parla di spiccioli non a caso, visto che è questa l’entità degli interventi che qualsiasi gabinetto di fatto esegue, continuamente vincolato dalle soliti e deprimenti attenzioni a bilanci di cui non si potrà servire mai.
Il governo e gli “spiccioli”, un triste sempreverde
Qualsiasi governo italiano dal 1992 in poi è costretto a cercare spiccioli per le sue manovre finanziarie. Ovviamente, in modo rigorosamente crescente, nel senso che gli spiccioli di trent’anni fa erano oro rispetto a quelli che saremmo stati forzati a cercare nei decenni a venire, tra vincoli di bilancio, fiscal compact e, in una delle ultime versioni, soldi a prestito (per una buona metà), del Pnrr. E così capita che dal governo di Mario Draghi a quello della Meloni poco cambi, sia in termini di spiccioli che di elemosine rilasciate. Quello del fu presidente della Bce ne rilasciava tante quante quello del presidente di Fratelli d’Italia. Perché la costante è sempre la solita: le attenzioni al bilancio per ripagare un debito che non si ripagherà mai (per lo meno a giudicare dagli avanzi primari dello Stato italiano, sempre in attivo negli ultimi decenni eccezion fatta per l’anno 2009 e le stagioni del Covid).
Giorgetti critico sul superbonus, Meloni e la voglia di “correre”
Se Draghi elemosinava con i Dl Aiuti, Meloni lo fa con la social card, ma il risultato finale è lo stesso: spiccioli elargiti dopo averne cercati altrettanti. Come avverrà, per l’ennesima volta, anche nella manovra finanziaria in oggetto. Quella per cui il ministro dell’Economia Giorgetti si lamenta del peso sui conti del superbonus (guarda caso, un intervento di una certa entità), e il presidente del Consiglio da Monza invita metaforicamente l’Italia a “correre”. Ma la verità è che per correre ci vogliono “i piccioli”, per dirla alla siciliana, non certamente gli spiccioli: gli stessi che condannano questo Paese all’incapacità di investimento, alla necessità di continuare – incredibilmente! – a voler vendere altra parte del suo patrimonio pubblico come lo stesso Giorgetti ha dichiarato qualche giorno fa, pensando di ricavare risorse dalla privatizzazione delle Poste e dei porti marittimi. La domanda è semplice: va bene, caro ministro, privatizziamo quest’anno e ricaviamo sedicenti “risorse”. E il prossimo anno da dove le ricaveremmo? Quanto dovrebbe durare ancora questa corsa al massacro? Qualcuno poi ha sottolineato – giustamente – quanto le Poste si comportino come una banca da anni e che a queste condizioni si possano anche cedere. Ma il problema rimane: avere un servizio statale come quello deturpato negli ultimi anni è comunque una necessità per una comunità sana. Liberarsene o ignorare questo – come molti altri numerosi problemi – non risolve affatto la questione. Anche perché, pure se paradossalmente volessimo dare ragione al gioco allo spicciolo, pensare di poter andare avanti ogni anno a suon di risorse ripiegate da svendite varie è semplicemente ridicolo. La verità è che questo sistema non è sostenibile, e soprattutto è impossibile da mettere in pratica: ce lo dimostra ogni nuova, triste, stagione.
Stelio Fergola