Parigi, 13 ott – Immaginiamo l’orrore e lo sgomento con cui la redazione del giornale francese Libération ha scoperto che la serie tv A Game of Thrones, trasmessa dalla statunitense Hbo e tratta dalla saga di romanzi medieval fantasy A Song of Ice and Fire di G.R.R. Martin, sia piena di cavalieri, battaglie cappa e spada, assedi di castelli e intrighi di corte.
E gridando allo scandalo scandendo ben bene la parola magica, “reazionario”, ha interpellato niente meno che Bertrand Pleven, stimato “geografo del cinema moderno”, che in una speciale video-intervista nel sito del giornale ci spiega, facendo una attentissima analisi della famosa sigla di apertura della serie tv, come in realtà sia proprio la geografia del mondo creato da Martin, tra l’altro noto attivista del Democratic Party, ad essere reazionaria. Per capire cosa voglia dire che una geografia è reazionaria bisogna seguire attentamente la profonda spiegazione di Pleven.
“Questa sigla inizia con la rappresentazione di una sorta di… astro luminoso”. Bellissima circonlocuzione per dire che la sigla inizia con l’inquadratura del sole. Ci attendiamo quindi una spiegazione di questo enigmatico attacco dell’intervista, magari la spiegazione che il sole come centro di tutto e inizio di tutto è un omaggio agli antichi culti solari pagani che poi tanto hanno influenzato le perfide dittature dell’Asse negli anni ’20 e ’30 e nella guerra mondiale, con illuminanti richiami al mito del dio R’hllor tanto potente nella saga.
Ma non è così, è solo un giro di parole elegantemente vuoto che serve a passare alla rivelazione successiva, uno dei cardini dell’intervista: “L’inquadratura passa poi sulla carta dello scenario della guerra”. Orrore! Una saga medievale che parla di guerra, un chiaro intento reazionario che rischia di minare la pace nel mondo tanto voluta da un giornale che appoggia l’intervento armato contro il regime siriano e fa servizi idilliaci sui ribelli jihadisti che tra una decapitazione e una strage fanno felici il bagno al mare.
Si passa poi all’inquadratura della Barriera, con Pleven che declama: “La Barriera, frontiera perfetta, verticale, militarizzata, che difende da tutto ciò che è al di là di essa”. Effettivamente questo tipo di barriera fa orrore in un contesto medievale… soprattutto se spiegato da un illustre giornale che perora la causa dei coloni israeliani contro i palestinesi sorvolando sulla costruzione da parte di Israele di un muro molto simile alla Barriera dei Sette Regni di Martin.
Pleven si stupisce del fatto che il muro di difesa sia così evidenziato nella sigla. Forse perché è uno dei luoghi cardine in cui si sviluppa l’intera trama della saga? No, sarebbe stato meglio far finta di niente, così si sarebbe stati anti-reazionari, proprio come Libération.
Ma ecco un altro elemento reazionario: “Il rapporto con il clima, per esempio il fatto che questo mondo sia minacciato da un improvviso raffreddamento climatico”, evidente richiamo al “Winter is coming” ripetuto più volte dalla famiglia Stark. In cosa questo elemento sia reazionario non ci è dato saperlo. Ma ecco che Pleven ci viene incontro spiegandoci chiaramente il concetto cardine che voleva trasmettere al mondo: “È una geografia reazionaria nella misura in cui c’è la rappresentazione di un mondo in cui, a differenza di oggi, i territori sono paralizzati e protetti dalle mura”. Come se potesse esistere un medieval fantasy senza un mondo con castelli e mura piene di soldati e arcieri.
Ma forse è anche il caso che qualcuno riassuma i temi principali della saga al mastro geografo in modo che la prossima volta possa evitare di far capire al mondo intero che parla senza la minima cognizione di causa: visto che parla delle frontiere del mondo di Martin, dovrebbe sapere che nel continente di Westeros, quello che ospita i Sette Regni, oltre alla suddetta Barriera non esistono frontiere.
Uno dei temi più ricorrenti poi è appunto il caos, nella fase di stallo della guerra, proprio nelle “zone grigie” ed indeterminate tra un regno e l’altro in cui soldati sbandati, mercenari senza padrone, briganti e banditi di ogni sorta scorrazzano e razziano a piacimento ai danni dei popolani che non sanno neanche a quale regno oramai appartengono. Per non parlare dei signorotti locali che possono dare fedeltà una volta a uno e una volta all’altro re proprio per la fluidità dei confini. Se poi vogliamo estendere lo sguardo al continente orientale, non vediamo altro che città libere, reti commerciali tra città diverse, federazioni prive di confini e territori sconfinati tra steppe, deserti e praterie, totalmente privi tanto di barriere quanto di signori che ne rivendicano il dominio.
Ma ecco arrivare il gioiello finale dell’intervista: “Questa carta si stende su un dominio senza uomini proprio perché la violenza e le tensioni geopolitiche hanno svuotato l’uomo dalla sua umanità”. Commovente analisi, peccato che i protagonisti della serie siano proprio gli uomini e che una delle particolarità che hanno dato tanto successo alla saga dei romanzi sia proprio il far fluire la trama e gli accadimenti attraverso gli occhi e le sensazioni dei vari protagonisti. Soprattutto uno degli effetti della saga è proprio far cambiare improvvisamente giudizio sui personaggi che all’inizio sembrano mostri privi di umanità, per dirla alla Pleven, ma che all’improvviso si trasformano agli occhi del lettore quando il tutto è visto attraverso i loro occhi, le loro paure, le loro reali intenzioni.
Ma è chiaro che Pleven non parla della trama e della storia, parla solo della sigla che, inquadrando la carta del mondo immaginario, colpevolmente non fa vedere gli uomini. Siamo proprio curiosi di vedere il geografo Pleven, in una delle sue lezioni, far vedere cartine geografiche che sono piene di uomini che camminano, mangiano, amano e lavorano. Sarebbe davvero un’esperienza… anti-reazionaria!
Carlomanno Adinolfi