Torino, 23 gen – Al via lo sgombero di uni dei principali campi rom della città, quello di Lungo Stura Lazio, che conta quasi 800 persone, almeno stando agli ultimi censimenti effettuati dal comune nell’estate 2013. Una baraccopoli che non ha nulla da invidiare alle bidonville asiatiche o africane, perlomeno in termini di degrado, sporcizia e rifiuti per la felicità della prosperosa colonia di ratti locali.
L’idea per risolvere un problema ormai annoso da anni fonte di tensioni e disagi è ben lontana da quella adottata a Marsiglia, città ampiamente cosmopolita e ricca di immigrati, che ad ottobre scorso aveva mandato le ruspe a risolvere la questione nella zona della Capelette.
No, l’amministrazione Fassino ha deciso per una soluzione totalmente diversa che risponde al l’ossimorico nome di “svuotamento condiviso” (condiviso in che senso? E chi condivide cosa?): ottenere che i rom se ne vadano volontariamente. E come? Ospitandoli in strutture d’accoglienza private, almeno quelli “virtuosi”: per poter essere ammessi a questo “programma” di edilizia sociale bisogna infatti dimostrare che un membro della famiglia porti a casa uno stipendio, bisogna impegnarsi a mandare i propri figli a scuola, ad imparare l’italiano, a pagare un canone di locazione, e le spese di luce e gas.
Insomma, una manna: basta firmare qualche scartoffia e fare qualche vaga promessa di scolarizzazione e pagamento di affitto, ed ecco bell’e pronta un alloggio chiavi in mano, con tanto di mobilio. Robe per cui di solito ti devi accendere un mutuo più o meno secolare. E che oggi molti torinesi non hanno più (solamente una decina di giorni fa è apparsa nelle cronache locali l’ennesima vicenda di una famiglia con due figli piccoli costretti a vivere in macchina).
Per chi non volesse accettare queste condizioni, è possibile l’espatrio volontario. Come se finora qualcuno li avesse costretti a rimanere qui.
Il periodo di permanenza in queste strutture private non potrà essere superiore ai due anni. E poi? Cosa faranno dopo questi nomadi “virtuosi”? Torneranno a popolare il Lungo Stura? Si sceglieranno qualche altra zona di Torino in cui accamparsi (per la rinnovata gioia dei summenzionati ratti)? Chi vivrà vedrà. A questo punto meglio nemmeno chiedersi che fine faranno i nomadi che “virtuosi” non sono.
Il fatto che l’accoglienza sia offerta da strutture private non vuol dire naturalmente che alla cittadinanza non costi nulla: il progetto è stato infatti foraggiato con i fondi a suo tempo messi a disposizione dall’allora ministro dell’Interno Maroni per l’emergenza rom: destinazione che secondo la UE era illegittima. E, a distanza di anni, tra ricorsi e controricorsi, alla fine queste somme (parliamo di oltre 5 milioni di euro)sono state riassegnate attraverso un accordo con il Comune di Torino. Quindi al massimo possiamo dire che il Comune non aveva posto per i nomadi, non che all’Italia questa sistemazione non sia costata. Al di là di ciò, va rilevato come i nomadi non abbiano mai dimostrato particolare voglia di integrarsi, vivendo in comunità fortemente omogenee e refrattarie a qualunque tipo di condivisione, a partire dalla accettazione delle nostre leggi. Al contrario di molti altri stranieri il cui primo pensiero arrivati in Italia è trovare un lavoro e mandare a scuola i figli.
Dopo la boutade sulla liberalizzazione della cannabis Fassino e soci si lanciano in un’altra avventura meramente propagandistica e di facciata, priva di contenuti reali assolutamente carente sul lungo periodo.
Valentino Tocci