Roma, 16 mag – Partiamo da un presupposto: se in Italia le leggi non consentono di girare armati, nessuno può invocare un’eccezione in nome della propria religione. E se quella legge è ingiusta, va semmai cambiata per tutti. La decisione della Cassazione, che ha condannando un indiano sikh che voleva circolare con un coltello “sacro” secondo i precetti della sua religione, è quindi del tutto ovvia.
La stessa Suprema Corte ne ha poi approfittato per sancire un principio che sta facendo esultare i leghisti: “Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. La sentenza ribadisce che “se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”. Insomma, per i giudici “è essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”. Il verdetto aggiunge che “la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto”.
Tutto giusto, ma con quattro fattori di perplessità. Primo: stupisce che tanta inflessibilità sia stata applicata ai sikh, comunità che (per quanto allogena e quindi comunque “fuori posto” qui in Italia) non si è mai distinta per particolari problemi di ordine pubblico o per tensioni interreligiose, ma anzi ha sposato in pieno la causa dei due Marò italiani prigionieri in India, per esempio. Un gruppo etnico senza santi in paradiso, con cui i giudici ritengono di poter fare la voce grossa, laddove usanze folli di altre comunità vengono tollerate in nome del buonismo e di un astratto ideale di “convivenza”. Secondo: colpisce che l’Italia riscopra l’inflessibilità dei propri “valori” contro un’usanza nobile e virile: ovvero la tradizione del kirpan, il pugnale rituale che fa di chi lo indossa un soldato dell’Armata di Dio per proteggere i deboli e i bisognosi. A fronte di tante usanze che ripugnano la nostra sensibilità di europei e che pure godono di una tolleranza assoluta, questa tradizione che potrebbe in qualche modo ricordarci frammenti dispersi della nostra identità viene criminalizzata.
Terzo: il principio di far conformare gli immigrati ai nostri valori è il primo passo verso l’assimilazione, cioè verso il meticciato. Significa che dobbiamo rendere gli immigrati “come noi”, annullando differenze e identità. Anzi, proprio nella misura in cui sono diversi, anche in modo “disturbante”, gli immigrati possono ancora dare la sensazione di essere “altro” al nostro popolo smemorato. Il nostro principio non dovrebbe essere “venite, ma diventate come noi”, bensì: “Siate voi stessi, ma a casa vostra”. Quarto: quali sono i nostri valori che gli immigrati dovrebbero rispettare? La Cassazione parla di valori “del mondo occidentale”. È questo che stiamo difendendo? È questo quello che noi siamo? Se è l’Occidente che ci identifica, allora mille volte viva i pugnali dei sikh.
Adriano Scianca
1 commento
sono pure vegetariani non uccidono animali..non sono kriminali…