Roma, 6 apr – La polemica contro il manifesto affisso dall’associazione Pro-Vita a Roma, che è divampata tanto immediata quanto violenta, non dà cenno di placarsi, in particolare sui social network ma anche nelle aule del Comune, dove prontamente è stata avanzata la richiesta di rimozione al sindaco Virginia Raggi.
Il maxi cartellone (della dimensione di 7×11 metri) che è stato esposto ieri nella Capitale, più precisamente in via Gregorio VII, all’approcciarsi dell’anniversario per i 40 anni della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, mostra un embrione di undici settimane nel grembo materno, accompagnato da alcuni messaggi. Queste frasi, accusate da varie associazioni pro-aborto come “Vita di Donna” Onlus di “fare terrorismo psicologico”, di “riportare l’Italia nel Medioevo”, di essere “indegna e aberrante iniziativa di alcuni gruppi integralisti”, non contengono in realtà null’altro che mere constatazioni scientifiche: che a 3 settimane dal concepimento il cuore di un embrione batte, che a 11 settimane gli organi dello stesso sono presenti, e, soprattutto, che siamo vivi perché non siamo stati abortiti.
Sono affermazioni talmente logiche da rasentare la banalità, come se ci si trovasse davanti a pannelli pubblicitari che descrivono la presenza della Legge di Gravitazione Universale, o che enunciano il Teorema di Pitagora: da nessuna parte nel manifesto esiste una condanna morale o etica dell’aborto, che può essere considerata implicita, ma ciò non dovrebbe configurare alcun tipo di reato. Eppure le consigliere del Pd al Campidoglio Michela Di Biase, Valeria Baglio, Ilaria Piccolo, Giulia Tempesta e quella della Lista Civica Svetlana Celli hanno già invitato il Comune ad avviare indagini sul caso e hanno allertato la polizia locale, anche alla luce di simili circostanze precedenti in cui l’Associazione Pro-Vita si è vista annullare affissioni perché “in contrasto con le prescrizioni previste dal Regolamento in materia di Pubbliche affissioni di Roma Capitale, che vieta espressamente esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”.
Il maxi poster avrebbe i permessi per restare esposto fino al 15 di aprile, ma non si fa fatica a immaginare che verrà rimosso con largo anticipo. Viene spontaneo chiedersi se il medesimo trattamento di indignazione a comando sarebbe scattato nel caso di un manifesto volto a celebrare la meraviglia della “libertà di scelta” delle donne in merito all’argomento gravidanza. Forse ci sarebbero state delle lamentele anche in quel caso, ma probabilmente sarebbero state relative alla dimensione troppo piccola del cartellone, o alla sua esigua diffusione.
Alice Battaglia
Chi può indignarsi e chi no: il caso del manifesto contro l'aborto a Roma
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