Roma, 4 dic – Arvedi, Marcegaglia e la multinazionale Arcelor Mittal. Questi i tre nomi che sono circolati, negli ultimi mesi e principalmente tramite generiche manifestazioni di interesse, per la rilevazione del colosso siderurgico Ilva. L’unica offerta in senso stretto è quella del gruppo anglo-lussemburgese guidato dall’indiano Lakshmi Mittal, offerta che però non ha convinto né il Governo né il commissario Piero Gnudi.
Ecco allora che si fa strada l’idea della nazionalizzazione. «Abbiamo preso in considerazione, e lo faremo nelle prossime ore, tutti i tipi di soluzione, dalla possibilità di investimenti privati nazionali e internazionali, ma anche un intervento pubblico, per un certo periodo di tempo, che consenta di affrontare le questioni ambientali e poi di tornare sul mercato», ha affermato ieri il premier Matteo Renzi rispondendo ad un’interrogazione alla Camera. Parole confermate dal commissario, uscendo da una riunione alla quale hanno partecipato, oltre al presidente del Consiglio, anche il sottosegretario Graziano Del Rio ed il ministro dello Sviluppo Federica Guidi: «Abbiamo fatto una ricognizione della situazione del gruppo Ilva e valutata la possibilità di un intervento pubblico».
L’ipotesi allo studio è quella di un intervento temporaneo che carichi sulle spalle dello Stato il risanamento ambientale e i problemi di liquidità che coinvolgono principalmente lo stabilimento di Taranto. Una volta risolti i nodi della questione, poi, si procederà alla ricerca di partner -o acquirenti veri e propri- privati.
Il soggetto individuato come potenziale veicolo per far transitare il controllo dell’azienda è la sempre presente Cassa Depositi e Prestiti. Difficile tuttavia che quest’ultima possa agire tramite il suo braccio operativo, vale a dire il Fondo Strategico Italiano, in quanto da statuto gli è preclusa la possibilità di intervenire in aziende che non abbiano una “stabile situazione di equilibrio finanziario, economico e patrimoniale”. Tecnicismi già presi in considerazione dall’amministratore delegato di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, che ad ottobre osservava come le norme statutarie non escludano comunque un coinvolgimento indiretto dell’istituto: «Questo non significa affatto che noi non si guardi alla siderurgia come a uno dei settori importanti dell’economia italiana», aveva infatti affermato durante un’audizione presso la commissione industria di Palazzo Madama.
Filippo Burla