Roma, 23 mag – Le più grandi navi da crociera mai costruite dal gruppo. Il contratto firmato ieri tra Fincantieri e Msc – Mediterranean Shipping company, per la realizzazione della nuova classe “Seaside”, vale più di due miliardi di euro. Oggetto del contratto due nuove navi da crociera, più un’eventuale aggiuntiva in opzione.
«Questo è un giorno speciale per noi. Oggi infatti iniziamo ufficialmente una nuova e ambiziosa avventura con gli amici di MSC, un gruppo che ha fatto della qualità e dell’italianità le proprie cifre distintive. Queste navi, che rappresentano una vera e propria sfida progettuale, saranno interamente sviluppate da Fincantieri, a conferma del primato tecnologico a livello globale che deteniamo fra i costruttori navali», le parole dell’amministratore delegato Giuseppe Bono il quale, non senza una punta di orgoglio, sottolinea la capacità dell’azienda di poter agire da committente generale, avendo sviluppato internamente le risorse che ruotano attorno alla cantieristica. Una strategia che sul lungo termine paga, come dimostra l’acquisto recente della Stx (poi ribattezzata Vard), che permette a Fincantieri di giocarsi le sue carte sul piano mondiale, andando a competere direttamente ed in posizione non di sudditanza con lo strapotere coreano.
Il totale della commessa ammonta a 2.2 miliardi, con previsti 700 milioni di euro di investimenti in carico alla società triestina, supportata nell’occasione dalla Cassa Depositi e Prestiti per il tramite della Sace. Un successo, tre eccellenze italiane unite nel raggiungerlo. Tre realtà al momento ancora nelle salde mani dello Stato, nonostante le prospettive di quotazione. Uno sbarco in borsa, in specie per Fincantieri, imposto dal ministeri ma che non trova giustificazione logica. A maggior ragione di fronte alla capacità di attrarre investimenti nonostante un assetto proprietario totalmente ingessato in quel 99.97% di proprietà pubblica.
«È il segno che l’Italia riparte davvero» ha commentato il premier Matteo Renzi. No, è la plastica rappresentazione di ciò di cui il governo vorrebbe disfarsi.
Filippo Burla