Berlino, 3 set – Le elezioni tedesche si avvicinano sempre più (24 settembre) e la Merkel pare non avere rivali. È dunque più che probabile che la “cancelliera di ferro”, la donna più influente del pianeta, rinnoverà il suo mandato per la quarta volta. Non proprio una buona notizia per noi italiani e, se è per questo, neanche per tutti gli altri paesi dell’eurozona. Il motivo? Semplice: perché la musica (il mercantilismo della Repubblica federale) non cambierà spartito (ordolibersimo e concorrenza sleale) e noi, alla fine del concerto, ci ritroveremo i timpani perforati dalle note distorte di una politica economica omicida (per i “partner” dell’euro) ma anche, a lungo andare, suicida (lavoratori tedeschi sempre più sulla graticola).
Ora, per uscir di metafora, è da capire perché, a prescindere da quali attori sarà composto il nuovo esecutivo della Merkel, nulla cambierà nelle politiche aggressive e sleali di Berlino. Per spiegarlo, possiamo partire da una notizia fresca di stampa: la Frankfurter Allgemeine Zeitung, il più autorevole organo di informazione politica ed economica in Germania, ha stilato la sua classifica degli economisti più influenti. Ebbene, al primo posto si trova Clemens Fuest. Un nome che non dirà niente a nessuno, con ogni probabilità. Eppure Fuest non è un economista qualunque, bensì il nuovo presidente dell’Ifo di Monaco di Baviera (Istituto per la Ricerca Economica), cioè il think tank più importante del mondo tedesco per quanto riguarda l’analisi e la proposta di direttive economiche. Ed è proprio da questa “fabbrica di pensiero” che la Merkel e Schäuble (il ministro delle finanze che ha devastato l’eurozona a colpi di austerity) derivano le loro strategie di politica economica.
Tanto per capirsi, l’ex presidente dell’Ifo Hans-Werner Sinn, ora in pensione, è colui che neanche un anno fa aveva scommesso sull’uscita dell’Italia dall’euro in quanto – a suo dire – il Belpaese avrebbe perso in “produttività” a causa dei costi di produzione troppo elevati. Eh già, è proprio brutto produrre cercando di pagare un salario decente ai propri dipendenti. Meglio fare come la Germania, che rifiuta di istituire il tanto vituperato (vituperato dai falchi di Monaco, beninteso) Mindestlohn, cioè il salario minimo garantito. Molto meglio, in altre parole, sfruttare i lavoratori autoctoni per fare concorrenza sleale ai presunti alleati dell’eurozona. Perché poi sono esattamente queste, in definitiva, le “riforme” che la Germania “chiede” (leggi: pretende) all’Italia e agli altri, con Renzi (Jobs Act) e ora pure Macron (loi de travaille) che si adeguano.
Il problema però, se si va a guardare a fondo, è più culturale che economico. Fuest e Sinn, infatti, si definiscono esplicitamente come “ordoliberisti”, peraltro menandone vanto. E la Merkel ha un bel modo per definire questa cultura economicista che sta affossando l’Europa (Germania inclusa): alternativlos, cioè “senza alternative”. Bello, no? Non è la politica che decide del destino degli uomini, ma il mercato. Ma che cos’è, in definitiva, l’ordoliberismo? È nientemeno che una dottrina economica nata in Germania negli anni Trenta del secolo scorso e che si è imposta come la politica direttiva della Repubblica federale. Si distingue dal neoliberimo solo in quanto quest’ultimo vede nello Stato (cioè nella politica) un nemico delle “magnifiche sorti e progressive” del mercato autoregolato, laddove l’ordoliberismo vede nello Stato lo strumento per istituire il mercato a livello giuridico. Vi ricordate il pareggio di bilancio inserito in Costituzione? Ecco, questo è un buon esempio di ordoliberismo. Perché perdere tempo ogni volta a contrattare con governo e sindacati quando puoi sancire per legge le tue politiche economiche da lacrime e sangue? Niente di più facile. Niente di più criminale.
Valerio Benedetti
1 commento
[…] questo storytelling onnipervasivo, la realtà è completamente diversa. Abbiamo già parlato delle storture dell’euro e della concorrenza sleale della Germania nei confronti dei presunti “alleati…. Così come non mancano studiosi coraggiosi che da tempo denunciano le falle della “narrazione” […]