Roma, 13 feb – Neoliberismo criminale che accusa lo Stato di essere criminale. Javier Milei non si risparmia in occasione della sua visita in Italia. Al termine di una giornata densa di incontri (dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Papa Francesco), il presidente argentino, intervistato da Quarta Repubblica, ha professato per l’ennesima volta l’ostilità a praticamente qualsiasi forma di intervento dello Stato nell’economia.
“Lo Stato è un’organizzazione criminale”
L’intervista andrà in onda stasera ma già promette di fare il botto. Non visivamente spettacolare come le scene con la motosega cui il presidente argentino si è mostrato nel recente passato, ma in quanto a impatto siamo lì. Quanto riportato dall’Ansa è l’ennesima dichiarazione di guerra all’economia sociale. “Filosoficamente sono anarcocapitalista e quindi sento un profondo disprezzo per lo Stato. Io ritengo che lo Stato sia il nemico, penso che lo Stato sia un’associazione criminale”, dice Milei. Poi inveisce ancora: ” “Di fatto lo Stato è un’associazione criminale in cui un insieme di politici si mettono d’accordo e decidono di utilizzare il monopolio per rubare le risorse del settore privato. Il metodo dello Stato è rubare: ogni volta che vai a comprare qualcosa in un luogo, lo Stato ti deruba tramite le tasse; quindi, lo Stato ti ruba tutti i giorni”.
È il neoliberismo ad essere criminale, e 30 anni a inseguirlo lo dimostrano pienamente
Ci sarebbe da partitre dalla stramberia con cui Milei straparla di uno “Stato che ruba con le tasse”, quando – almeno nel lungo periodo, per ora in Argentina i proclami sono ovviamente opposti e si parla soprattutto di tagli alla spesa pubblica – dovrà chiederne eccome ai suoi cittadini. E neanche poche. L’indebitamento con l’estero si paga in due modi: tassando e tagliando. Tagliare all’infinito è evidentemente impossibile, così come tassare all’infinito. Lo sappiamo benissimo noi europei, che in questa disgraziata condizione siamo da appena qualche decennio, lo sanno benissimo in Sudamerica dove la tradizione è infelicemente più antica.
Il punto è, come al solito, nella politica. Molto più che nell’economia, come si fa credere da decenni. Per meglio dire, l’economia è un riflesso della potenza politica. Quella argentina è pressoché nulla, esattamente come quella di quasi tutti i Paesi dell’America Latina, dell’Africa e, da un trentennio buono appunto, anche dell’Europa. Ecco che “tenere i conti in ordine” diventa prioritario perché interessi da usurai tengono in scacco il Paese, qualsiasi esso sia (ricordiamo sempre che a Washington, nel frattempo, basta una legge del Congresso per eluderli, fatti del 2023, non di un secolo fa). Milei dice che lo Stato è criminale. Ma proprio la sua Patria ha dimostrato, in quel breve frangente di relativa autonomia avuta nel secondo dopoguerra, l’esatto contrario. Semmai, lo Stato è diventato un peso quando è stato schiacciato dagli “aiuti” del Fondo monetario internazionale, come spesso accade in queste situazioni.
Si pensi anche alla crisi tunisina: per quale motivo il presidente Kais Saied è stato così ostile alle proposte finanziarie provenienti dai Paesi occidentali e dallo stesso Fondo? Semplicemente, sa benissimo che accettare prestiti può significare mettere un tampone solo momentaneo alla situazione e poi proseguire in una spirale infinita di denaro che non verrà mai restituito e che comporterà ulteriore immiserimento sociale.
Lo dimostrano le stesse economie miste dell’Europa occidentale fino agli anni Novanta del secolo scorso, certamente non paragonabili per Pil alle superpotenze ma caratterizzate da una ricchezza diffusa e da un equilibrio sociale senza pari nella storia dell’umanità. Lo dimostrano, ma con accezione negativa, per l’Italia ma anche per l’Europa, trent’anni di politiche neoliberiste. Le quali non hanno ovviamente “compiuto” un neoliberismo italiano, ma hanno progressivamente ammazzato una potenza industriale e sociale tra le prime al mondo, portandola tramite la svendita del settore pubblico alla deindustrializzazione e all’aumento smisurato della povertà. Altro che fandonie sullo Stato criminale.
Stelio Fergola