Roma, 11 dic – Nell’agenda delle riforme che l’Unione europea ha di fronte “non c’è posto per ritirarsi nel nazionalismo o nel protezionismo”. Lo afferma il presidente della Bce, Mario Draghi, durante la Conference in memoria di Curzio Giannini, “Money and monetary istitutions after the crisis”.
Durante il suo intervento, Draghi ha elencato quelle che secondo lui sono le priorità per completare l’agenda a livello europeo e nazionale: “realizzare l’unione bancaria, consolidare i conti pubblici con politiche orientate alla crescita, e riforme strutturali nel settore del lavoro e della produzione”. Per Draghi, insomma, le riforme chiave nell’Eurozona sono le consuete liberalizzazioni nel mercato del lavoro e dei prodotti, l’unione bancaria e “un consolidamento fiscale favorevole alla crescita”. Il nazionalismo e il protezionismo non sono ammessi, spiega il presidente della Bce, dando un chiaro messaggio ai recenti proclami no euro di Grillo e Lega ma anche a chi attualmente si trova nelle strade per sostenere il Movimento dei Forconi.
La Bce ha fatto la sua parte – è il ragionamento – ora sta ai governi fare le riforme. “Combattendo la frammentazione dei mercati e i rischi di ridenominazione” ovvero di ritorno a valute nazionali, “la Bce ha preservato la stabilità dei prezzi e le condizioni necessarie ad una crescita sostenibile”, ha rivendicato draghi. “Ora è giunto il tempo per altri di agire nei loro rispettivi ambiti, che non appartengono al mandato della Bce”.
Draghi ha spiegato che mantenere la stabilità dei prezzi è importante anche perché benefica per la crescita economica e la coesione sociale. Nei 15 anni di vita l’eurotower ha rispettato il suo compito con un’inflazione media al 2% fra il 1999 e oggi. Compito ovviamente coadiuvato da una depressione economica che per durata e intensità non ha precedenti nella storia recente, ma questo Draghi non lo dice.
Per il presidente della Bce, “bisogna rafforzare il programma di riforma del settore finanziario per essere reso più robusto perché” citando Don Kohn, numero 2 della Fed “potremmo non essere in grado di rendere gli automobilisti migliori, ma possiamo fare le automobili e le strade più sicure per ridurre i danni in caso di incidenti”.
Draghi è apparso comunque ottimista, e non poteva essere altrimenti, sul futuro dell’Europa. “La crisi ha identificato alcune debolezze nella costruzione europea. Ma sono convinto che insieme saremo capaci di porre rimedio a queste debolezze ed emergere dalla crisi con un’Europa più forte”.
Si stringe ulteriormente il nodo scorsoio attorno alle nazioni, ai popoli, ai lavoratori. Lo Stato italiano avrebbe la necessità di spendere di più, anche aumentando il suo debito con se stesso, in barba a tutti gli accordi e ai limiti di spesa che i burocrati europei ci hanno imposto. Spendere per creare posti di lavoro che sono stipendi e quindi ricchezza che innesca consumi e crescita. Spendere per creare un’istruzione di alto livello, per mantenere i cittadini in salute ma anche e soprattutto per fare strade, aeroporti e grandi opere. Spendere per investire in ingegneria e tecnologia superiori, ma anche per acquistare aziende private in settori strategici di mercato.
Tutto questo Draghi e le sue elites usurocratiche/finanziarie/bancarie ce lo impediscono imponendoci un giogo al collo per arare le terre i cui frutti non vanno a noi.
Giuseppe Maneggio