Roma, 28 feb – «La luce la vedo più vicina e sono molto più ottimista sul fatto che nel frattempo il tunnel non ci crollerà sulla testa dell’auto per travolgerla come per un po’ abbiamo rischiato». Così parlava Mario Monti nel gennaio 2013, agli sgoccioli del suo mandato come primo ministro. Dieci mesi dopo anche Saccomanni, ministro dell’Economia in quota governo Letta, sceglieva la metafora infrastrutturale: «Vicini alla fine del tunnel. Ora dipende dalla velocità del treno», affermava a dicembre dello scorso anno.
Parole dense di ottimismo che si scontrano con la realtà dei fatti. Se la matematica non è un’opinione, le cifre Istat certificano che la luce che in tanti da anni vedono è semmai quella di un treno in corsa. In direzione contraria alla nostra. Le ultime rilevazioni dell’istituto nazionale di statistica lasciano poco spazio a dubbi: nel mese di gennaio il tasso di disoccupazione globale sale al 12.3%, con 370mila unità in più nel corso dell’anno. Quasi un milione i lavoratori che hanno perso l’occupazione dal 2008, con particolare riferimento ai giovani: il tasso di disoccupazione giovanile balza infatti al 42.4%. In totale, i disoccupati ammontano a quasi 3.3 milioni. Comunque si guardi la statistica, sono cifre (in costante aumento) che non si toccavano dal lontano annus horribilis 1977.
Scendendo nel particolare, le contrazioni maggiori si registrano principalmente nel settore delle costruzioni, non tralasciando tuttavia l’industria manifatturiera in generale. A soffrire di più sono le imprese di medio-grandi dimensioni, ma solo a livello statistico dato che anche le piccole e le realtà di distretto non mostrano segnali di controtendenza. A livello geografico le maggiori difficoltà si registrano al centro-sud. Unico dato che mostra il segno più è l’aumento dei contratti a tempo parziale: non un elemento positivo, dato che spesso il ricorso a forme non a tempo pieno può essere l’ultima spiaggia per evitare il licenziamento.
Una spirale che rischia di avvitarsi sempre più verso il basso, stante che la domanda estera non è da anni più in grado di compensare una dinamica interna che plana senza sosta verso un duro atterraggio.
Filippo Burla