Roma, 11 gen – Le continue chiusure imposte dal governo per contrastare la pandemia hanno bruciato 578 mila posti nella ristorazione, tra i settori più colpiti, con vendite diminuite del 48% e una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro. Sono i dati-choc sugli effetti delle chiusure durante il lockdown e con la divisione in fasce di rischio decise dai vari Dpcm. Chiusure che interessano circa 330 mila attività tra bar, ristoranti e mense, circa 70 mila industrie alimentari e circa 740 mila aziende agricole che danno lavoro a oltre 3 milioni e 600 mila persone.
La denuncia di Coldiretti: “Crollo della ristorazione”
Come denuncia la Coldiretti, lo “stop and go” delle ordinanze per le aperture e le limitazioni imposte al settore spesso creano ostacoli alla programmazione delle attività anche quando queste possono finalmente riaprire. Sono sempre più numerosi i casi infatti di esercizi del settore della ristorazione che non hanno più riaperto. Una situazione che rischia di dare il colpo di grazia ai consumi alimentari degli italiani fuori casa. Il crollo nel 2020 è stato verticale, con i consumi fuori casa precipitati al minimo da almeno un decennio con un crac senza precedenti per la ristorazione che dimezza il fatturato (-48%) per una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro. Sono queste le stime Coldiretti in base ai dati Ismea.
La filiera agroalimentare estesa è il primo settore economico del Paese
“La crisi non va inquadrata singolarmente analizzando il singolo ristorante, bar, pasticceria o pizzeria, ma dobbiamo guardare il settore nel suo insieme. Dall’inizio della pandemia, tra lockdown e coprifuoco, sono stati persi circa 578 mila posti di lavoro totali, dei quali circa 8 mila posizioni nel settore dell’agricoltura, 66 mila nelle industrie e 504 mila nei servizi. E’ il commento all’Aska di Giancarlo Barbarisi, consulente specializzato in finanza d’impresa e fondatore del blog Business Plan Vincente. “La filiera agroalimentare estesa è il primo settore economico del Paese, generando un fatturato aggregato di circa 540 miliardi di euro e coinvolgendo 3,6 milioni di lavoratori. Dati alla mano, però, notiamo come la ristorazione, tra le colonne portanti del settore, sia oggi uno dei comparti che soffre maggiormente, con un calo di fatturato di circa 10 miliardi”, avverte Barbarsi.
I ristori del governo non coprono minimamente le perdite
A ben vedere, gli ammortizzatori previsti dai vari decreti Ristori del governo giallofucsia sono, di fatto, insufficienti a “ristorare” il settore. Stiamo parlando di attività che hanno ingenti costi fissi e variabili e minime entrate. Come se non bastasse, poi, i dieci giorni di zona rossa sotto Natale hanno dato il colpo di grazia, proprio nel periodo in cui solitamente gli italiani consumano fuori casa. Perdite che non sono state minimamente coperte dai ristori.
“Si usino i residui dei fondi Ue dell’agenda 2014-2020”
“A tutto ciò, occorre aggiungere e denunciare il solito dato allarmante: in pochi sapevano che sarebbe stato possibile utilizzare i fondi europei dell’agenda 2014-2020 per dare un reale contributo alle attività che hanno subìto un drastico calo del fatturato”, fa presente Barbarisi. “Per questo, molti dei soldi messi a disposizione delle Pmi non sono stati utilizzati. Per fortuna, non tutto è perso, c’è la possibilità di salvarsi in calcio d’angolo tramite la gestione dei cosiddetti ‘residui’, ossia i finanziamenti europei dall’agenda 2014-2020 che l’Italia non è stata capace di utilizzare e che sono ‘avanzati’ dallo stanziamento iniziale”.
“Governo faccia presto prima che sia costretto a restituire i soldi a Bruxelles”
A tal proposito Barbarisi avverte che il tempo stringe. “Se il governo perderà anche l’occasione di gestire i soldi dei ‘residui’ dell’agenda 2014-2020, ancora una volta l’Italia sarà costretta a restituire a Bruxelles i miliardi di euro che ha ricevuto per sviluppare attività imprenditoriali, per creare crescita e produrre posti di lavoro. E, vista la situazione che sta affrontando il Paese, mi pare evidente che non ci possiamo permettere di perdere anche questo treno“, conclude.
Adolfo Spezzaferro