Roma, 26 ott – Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz sulla questione Datagate ha mostrato tutta la sua ira arrivando a proporre di “sospendere” il negoziato sull’accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti e “riflettere”. Secondo Schulz, le intercettazioni “sono un segnale d’allarme”. “Non stiamo parlando di una democrazia qualsiasi” – ha detto al suo arrivo al vertice europeo – “e quindi dobbiamo assolutamente discutere con i nostri amici americani di questa situazione, che ricorda la guerra fredda”.
“Lo scandalo dell’Nsa è un segnale d’allarme – ha denunciato Schulz, nel discorso davanti ai leader dei 28 a Bruxelles – dopo la scoperta di elementi che indicano che gli Stati Uniti hanno organizzato lo spionaggio su grande scala degli ambasciatori dell’Unione, del Parlamento europeo, dei capi di governo europei e dei cittadini, l’Europarlamento ha chiesto la sospensione dell’accordo Swift“. “Noi esigiamo – ha scandito ancora – che gli scambi dei dati bancari con gli Stati Uniti siano per ora sospesi“.
Schulz, dopo aver invocato la sospensione dei negoziati sull’accordo di libero scambio con Washington avviati a luglio, ha poi assicurato che l’Europarlamento “difenderà gli interessi ed i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione nel quadro dei negoziati”.
Ma perchè solo oggi i governi europei si accorgono che l’intelligence americana, attraverso il programma Nsa (National Security Agency), controllava da anni ogni foglia che si muoveva in Europa? E’ una pura coincidenza che questa indignazione unanime dei paesi europei sia arrivata proprio a conclusione degli accordi di libero scambio, oppure c’è dell’altro?
Cominciamo con il chiederci perchè i paesi del Nafta ((North American Free Trade Area, l’area di libero scambio sancita tra Canada, Stati Uniti e Messico nel 1993, che prevede la libera circolazione di merci e capitali, ma limitazioni ai movimenti migratori dei lavoratori), vogliono stringere un accordo commerciale con l’Ue. Quale che possa essere la risposta non si possono eludere due dati assolutamente incontrovertibili: la rivalutazione dell’euro nei confronti del dollaro e il disordine istituzionale che attanaglia l’Europa. Entrambi questi fattori giocheranno a favore degli alleati d’oltreoceano permettendo loro di penetrare nei nostri mercati e mettere ulteriormente sotto pressione i lavoratori e i produttori europei.
Considerando i tassi di cambio attuali, i prodotti agricoli ed alimentari statunitensi o canadesi potrebbero addirittura costare fino al 25% in meno di quelli francesi, tedeschi o italiani, mettendo seriamente a rischio l’esistenza della filiera dei piccoli e medi produttori europei, che in assenza di una politica di dazi doganali all’importazione avrebbero meno strumenti per difendersi da questo tipo di concorrenza valutaria. A tutto vantaggio dei grandi distributori e grossisti che potranno importare a costo più basso i prodotti dall’America. La vicenda delle intercettazioni potrebbe così assumere i contorni di una vera e propria guerra in atto tra la lobby dei produttori e quella dei distributori.
Gli accordi di libero scambio con gli Stati Uniti hanno un’anima speculativa molto evidente che va ben oltre queste considerazioni appena esposte: c’è di mezzo la salute e la salvaguardia dei consumatori. Perchè? Perchè i bovini americani vengono allevati con l’ormone della crescita e le carcasse sono pulite con acido lattico, due pratiche assolutamente illegali nell’Unione Europea. Tutto questo fino ad oggi non aveva rappresentato un problema per i tecnocrati europei.
Basterebbero delle normative sanitarie, verrebbe da dire, ma i regolamenti sanitari, che ai più sembrano una tutela della propria salute, sono, nella maggior parte dei casi, degli strumenti utilizzati per mettere fuori gioco a piacimento questo o quel paese concorrente: per alcuni valgono e per altri no. Quelli nati da momenti di tensione internazionale, come questo che stiamo attraversando, rappresentano una sorta di dazio all’importazione perché il rispetto del regolamento comporta un aggravio di costo aggiuntivo per il produttore originario che si vuole spiazzare. Alla faccia del libero scambio. Per fare un esempio, provate ad importare un qualsivoglia prodotto alimentare nazionale in Norvegia e vi imbatterete in talmente tanta burocrazia e tasse sanitarie da pagare da farvi immediatamente girare i tacchi e tornare indietro.
Dei 157 paesi aderenti al Wto (World Trade Organization, l’organizzazione mondiale del commercio nata nel 1995), solo alcuni, quelli politicamente più forti hanno mantenuto una propria politica economica interna protezionista per difendere il tessuto produttivo nazionale, mentre altri, quelli più deboli e sottosviluppati, hanno dovuto fin da subito abbattere i vincoli doganali e le barriere istituzionali per permettere l’invasione dei prodotti e delle multinazionali occidentali. Quella che tutti definiscono globalizzazione altro non è quindi, che la libera circolazione nei nostri mercati dei prodotti fabbricati in paesi sottosviluppati o emergenti dalle stesse multinazionali o imprese occidentali che hanno delocalizzato per ragioni di convenienza economica. A questo dobbiamo aggiungere che paesi come Stati Uniti o Germania, hanno da sempre sussidiato con contributi pubblici le proprie aziende nazionali, in aperto contrasto con i principi liberoscambisti della globalizzazione.
In Italia era stata diffusa l’idea che sarebbe stata l’unione europea la panacea di tutti i nostri mali; la globalizzazione, entità sovrannaturale, un processo irreversibile e inconfutabile; le barriere doganali, inutili e fuori dai disegni di un gaudente futuro. Come si evince così non è. Allo stato attuale è libero solo colui che ha un potere finanziario e una posizione politica dominante tale da poter dettare le proprie condizioni alle istituzioni nazionali o internazionali, mentre tutti gli altri sono schiavi di quest’ultimo.
Giuseppe Maneggio