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Cari agricoltori, cantate l’Inno d’Italia

by Stelio Fergola
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Roma, 6 feb – La protesta degli agricoltori che prosegue questa settimana contro vessazioni europee che durano da decenni, non ci può non far notare una cosa: ovunque, durante le manifestazioni da Nord a Sud, un simbolo si è rifatto vivo: il Tricolore (come, per dire la verità, ogni tanto accade, basti ricordare i casi degli ultimi anni nei raduni sotto palazzo Montecitorio o diverse occasioni durante le restrizioni peggiori dell’era Covid). Presente in quasi tutti i mezzi agricoli in marcia, evidentemente la bandiera nazionale, nonostante le campagne psicologiche distruttive di decenni, continua ad generare una certa forza nella psicologia delle masse, siano essi comuni cittadini o categorie produttive, come in questo caso. Ma c’è un altro simbolo, non visivo ma uditivo, che può dare ancora più forza alla resistenza agricola e alla sua necessità di sopravvivenza, e si chiama Inno di Mameli. O meglio, Canto degli Italiani, ma fa lo stesso.

Cari agricoltori, cantate l’Inno d’Italia

Sappiamo che, oltre al rinnovo delle varie manifestazioni in tutta Italia, ce n’è una che potrebbe assumere un valore simbolico particolare: quella di Roma, prevista per giovedì. La capitale invasa dai mezzi di lavoro di persone oneste che urlano la loro necessità di vivere, anzi – come dicevamo sopra – di sopravvivere. Ma che si radunano costantemente accompagnati dalla bandiera. Sfilano esibendola senza troppi complimenti. Sembra una marcia degli Alpini, eppure sono i contadini. C’è un senso di comunità inevitabile che, perfino in una Nazione morente come l’Italia, si palesa quando si è consapevoli di essere sulla stessa, drammatica, barca: quella che può portare nel mare della miseria, dell’annientamento. Allora trovare un simbolo comune diventa una necessità, esattamente come quella di respirare. Il simbolo lo abbiamo, è nostro, è potente e unico.

Una questione pratica e non soltanto idealistica

La verità è che ritrovare lo spirito nazionale può conferire energie inaspettate. È qualcosa che molti, anche nella cosiddetta area dissidente, continuano a non capire. Non si rendono conto (specialmente se provenienti da percorsi di sinistra, perché il retaggio, ahimé, tende a prevalere su tutti noi) di quanto sia potente una bandiera simbolica come quella dell’Unità della Patria, di quanto sia potente intonare i versi che furono scritti nel  1847, quando il movimento risorgimentale era in fermento nel contesto di un’Europa in fiamme. Soprattutto non c’è assolutamente consapevolezza del fattore “energertico”, quasi dopante della questione. Cantare l’inno significa legarsi ancora di più alla marcia e alla resistenza, significa avere più forza per andare avanti. Da soli, cari agricoltori, non siete niente. Insieme siete un esercito. Dunque l’invito è rinnovato – per chi vorrà o potrà leggerlo – ed è semplice: intonate il Canto degli Italiani. Vi darà più forza. Perché in questo momento la Patria siete voi. In bocca al lupo.

Stelio Fergola

 

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