Roma, 7 lug – “Non ci sono altri focolai di crisi come quelli risolti in questi giorni”. È in questi termini che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, intervenendo stamattina su Radio1, cerca di far tornare il sereno sulle banche, dopo che fra Mps e i casi di Popolare di Vicenza e Veneto Banca il sistema italiano è andato vicino al tracollo. “Abbiamo rimesso in carreggiata la quarta banca del Paese”, ha continuato Padoan in riferimento a Mps, mentre per quanto riguarda le venete “sono state rilevate da Intesa che non ha problemi di credibilità”.
A parte quel “rilevate” che fa molto rima con “regalate”, la situazione è davvero così rosea? A dire il vero sembra che i problemi siano ben lontani dall’essere risolti una volta per tutte, nonostante l’ottimismo del ministro. Cominciando da Mps, che ha appena annunciato una ristrutturazione da 5500 esuberi e prevede la chiusura di 660 filiali (sulle circa 2000 attuali): più che una strategia di rilancio sembra una finanziaria lacrime e sangue alla Mario Monti, di quelle che invece di risolvere i problemi hanno contribuito a peggiorarli. Non sarebbe d’altronde la prima volta: Monte dei Paschi, almeno stando a Renzi, era già in sicurezza a gennaio dell’anno scorso, salvo poi collassare di nuovo su sé stessa sotto i colpi della Bce. Padoan ha forse qualche titolo in più per dire la sua, ma con un piano in divenire – e ad oggi per niente scontato nei risultati – l’ottimismo, sia pur di prammatica, sembra decisamente fuori luogo. Così come scentrata è l’euforia sulle banche venete, i cui attivi ancora devono transitare ad Intesa e questo passaggio non è detto sia indolore, in special modo per quanto riguarda i conti pubblici chiamati a garantire per miliardi a fronte dell’euro speso da Cà de Sass.
Tutto qui? Neanche per idea, dato che Mps e le venete sono solo una parte del grande risiko in gioco sulle banche italiane. Un gioco (al massacro) partito con Etruria e consorelle finite nel tritacarne dei bail-in, mentre altri istituti restano sotto il fuoco incrociato di bassi tassi d’interesse e massa da centinaia di miliardi di non performing loans che zavorrano i conti e impediscono di far funzionare quella cinghia di trasmissione all’economia reale che si chiama credito. È il caso ad esempio di Carige, banca ligure forse non “sistemica” ma indubbiamente campanello d’allarme per uno scenario tutto tranne che rasserenato. E quante altre crisi covano ancora sotto la cenere?
Filippo Burla