Roma, 9 ott – Il governo incassa la fiducia sulla legge delega per il riordino del diritto del lavoro. Si scongiura la crisi di governo, possibilità ventilata nei giorni scorsi e dovuta alla minoranza Pd che aveva mostrato piu’ di qualche mal di pancia per l’impianto complessivo della riforma.
A ben vedere, tuttavia, parlare di “riforma” è un esercizio difficile. Vero che il tema dell’articolo 18 rappresenta un elemento storicamente sensibile per le parti sindacali. La manifestazione del marzo 2002 che portò tre milioni di lavoratori in piazza è sì passata alla storia. E lì rimarrà. Perchè gli stessi sindacati hanno, con una posizione di totale retroguardia, accettato di vedersi garantita la difesa ai lavoratori a tempo indeterminato, lasciando al loro destino tutti gli altri. Così lo Statuto dei Lavoratori ha progressivamente perso efficacia, trovando una sempre minore applicazione e creando in questo modo una dicotomia fra dipendenti iperprotetti e altri che non godono delle stesse tutele. Osserva in tal senso Diego Fusaro: «Matteo Renzi dice giustamente che il limite dell’articolo 18 sta nel riguardare un numero ristretto di lavoratori. Vero. Logica vorrebbe, allora, che le protezioni venissero estese a tutti».
Da parte del governo, la legge delega affronta in realtà solo una modesta serie di punti. Al primo posto la disciplina dei licenziamenti, rendendo più agevole il licenziamento anche per motivi economici. Al posto della reintegra è previsto un indennizzo che cresce con l’anzianità di servizio. Considerazioni sull’efficacia tecnica di tale misura sono già state affrontate, si veda l’articolo di Salvatore Recupero del 29 settembre. In secondo luogo, la revisione dei contratti punta a definire quello a tempo indeterminato come forma-base, rendendolo più conveniente rispetto agli altri. Una mossa che solo in parte compensa quella sull’articolo 18, ma per la quale ancora e’ tutto da definirsi. Già la riforma Fornero aveva reso i contratti a termine più svantaggiosi rispetto allo standard, ma ciò non ha impedito che questa forma fosse la più utilizzata: nel primo semestre 2014, fra i nuovi contratti, i rapporti a tempo determinato hanno rappresentato il 70% del totale. E su questi, va ricordato, la disciplina sui licenziamenti prevista dalla legge 300 del 1970 non trova alcuna applicazione.
Le aziende, d’altronde, non assumono a tempo indeterminato per “colpa” dell’articolo 18. Non assumono perchè manca domanda interna, non assumono perchè la recessione non accenna a frenare, non assumono perchè gli oneri sul lavoro (a partire dall’Irap) sono esorbitanti. In specie se si può compensare con il ricorso al lavoro nero, all’esternalizzazione, alle cooperative, all’acquisto di prodotti a basso costo all’estero. Nessuno di questi nodi cruciali è nell’agenda dell’esecutivo. Se non quello di fare bella figura con Bruxelles, portando con orgoglio la fiducia ottenuta su una legge che, nella migliore delle ipotesi, cambierà tutto per lasciare tutto come prima.
Filippo Burla