Roma, 17 lug – Carlo Nordio e Giorgia Meloni discutono. Non animosamente, a quanto si apprende. Ma comunque esiste un punto di dibattituo sulla questione della riforma della Giustizia che emerge anche in una maggioranza. Il che non sarebbe necessariamente un male, se non fosse per la causa che lo ha generato, ovvero la paura e la necessità di guardarsi costantemente intorno per evitare i – metaforici, sia chiaro – cecchini.
Il dibattito tra Nordio e Meloni
Le parole del presidente del Consiglio hanno rimbalzato un po’ ovunque e sono di nuovo chiare: andiamoci piano con l’abolizione del reato di “concorso esterno” in associazione mafiosa. Meloni parla a Nordio, da Pompei, così: “Comprendo benissimo sia le valutazioni che fa il ministro Nordio, sempre molto preciso, sia le critiche che possono arrivare, però mi concentrerei su altre priorità”. Ovviamente, le opposizioni ci marciano, sostenendo che il premier stia quasi scaricando il ministro della Giustizia. Da quest’ultimo, però, solo rassicurazioni: “Siamo in perfetta sintonia”, dice. Ma il concorso esterno non è l’unico tema. C’è anche quello del reato di abuso d’ufficio, presente nel ddl, ma che secondo fonti interne starebbe per aprire un nuovo dibattito nella maggioranza. Nordio sarebbe il più deciso, gli altri temono i “no” degli antiriformisti, che siano in togati o in Parlamento.
Spesso provare a cambiare significa ridimensionarsi
Noi lo avevamo detto e lo continuiamo a pensare: la riforma della Giustizia potrebbe arenarsi in qualsiasi momento. Oppure andare avanti, ma in versione castrata. Solo il tempo ci dirà cosa accadrà, ammesso che poi si arrivi a qualcosa. Viviamo in un Paese in cui provare a riformare quasi sempre significa ridimensionarsi, per via delle troppe opposizioni con i fucili puntati (sempre in senso metaforico, ovviamente) contro il riformatore di turno. Lo abbiamo visto troppe volte, anche per i tentativi andati a vuoto negli ultimi vent’anni di cambiare la Costituzione, figuriamoci se non sarebbe potuto avvenire su un tema delicatissimo come la Giustizia, vista l’assenza totale di riforme decise nonostante i numerosi proclami anche di chi, come Silvio Berlusconi, aveva tutto l’interesse (perfino personale) ad attuarne.
Alberto Celletti