Roma, 16 feb – Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi parla del caso Open Arms come testimone della difesa nel processo per sequestro di persona a carico di Salvini per aver impedito lo sbarco di 147 immigrati dalla nave della Ong spagnola.
La testimonianza di Piantedosi sul caso Open Arms
I fatti risalgono all’agosto 2019 durante il primo governo Conte. All’epoca il ministro degli Interni era Salvini, mentre Piantedosi era il suo capo di gabinetto. La tesi di quest’ultimo è che Open Arms abbia consapevolmente rifiutato l’aiuto di altri nazioni, pur di sbarcare in Italia i migranti a bordo: “Malta si offrì di recuperare 39 migranti perché si trovavano nelle loro acque territoriali, ma Open Arms rifiutò quest’opzione: più avanti venimmo a sapere che alcuni sulla nave si erano un po’ agitati con il comandante per non essere sbarcati quando avevano avuto l’occasione”. Non solo Malta, Open Arms rifiutò ance la Spagna come destinazione: “La Spagna, che aveva anche fatto partire una nave per andarli a prendere, concesse il porto sicuro alla Open Arms dopo Ferragosto, per noi fu un segnale molto importante, ma la Ong come prima reazione disse che non era in condizione di arrivare in Spagna perché era trascorso troppo tempo”. E spiega le ragioni di questa scelta: “Perché non andò in Spagna? Credo che la Open Arms temesse di incorrere in qualche sanzione perché aveva un numero maggiore di persone soccorse rispetto a quelle consentite a bordo”.
“Preordinata volontà di portare i migranti in Italia piuttosto che salvarli”
Insomma, l’Ong mirava unicamente all’Italia: “Trascuravano il fatto di poter richiedere assistenza per poter sbarcare persone in Tunisia o a Malta. C’era l’orientamento di portarli in Italia e per noi era una preordinata volontà di portare i migranti in Italia piuttosto che salvarli. Qualificammo l’evento come di immigrazione clandestina e, valutati i comportamenti della Open Arms, avviammo le procedure per emanare il decreto interministeriale per impedirle l’ingresso in acque internazionali italiane”. Una decisione che Piantedosi sottolinea essere stata condivisa dal ministro degli Interni, quello delle Infrastrutture e quello della Difesa. Questi ultimi erano in quota Movimento 5 Stelle e non firmarono un secondo provvedimento di ingresso per Open Arms solamente per questioni tecniche: “Si riteneva, infatti, che non vi fossero le condizioni giuridiche per la reiterazione di tale provvedimento”. Quella di Salvini non era un’iniziativa isolata, ma di tutto il governo: “L’indirizzo politico era noto: contrastare l’immigrazione irregolare e affermare che l’Italia non fosse l’unico Paese destinatario di immigrazione. L’indirizzo politico era avere rigore nei confronti di tutto quello che poteva avere a che fare con l’ingresso irregolare”.
Un tentativo di scavalcare lo Stato
Quello di Open Arms era anche il tentativo di un privato di scavalcare lo Stato: “Non poteva essere, per come la vedevamo noi, il soggetto privato che decideva a chi chiedere il porto per lo sbarco dei migranti a bordo. L’autorizzazione alla scelta del porto di sbarco tutt’oggi compete al ministero dell’Interno perché vi è tutta una logistica da mettere in campo. Le esigenze di soccorso in quanto tale non competono invece al ministero dell’Interno, ma ad altre autorità”. Una distinzione di competenze che Piantedosi sottolinea: “Non spettava al ministero dell’Interno valutare le condizioni sanitarie complessive, ma agli uffici competenti che sono Usmaf e Cirm: abbiamo prestato assistenza permettendo a chi di dovere di andare sulla nave per una valutazione complessiva dello stato dei migranti. Quello di tuffarsi in mare è un gesto a volte volontario e a volte puramente dimostrativo, incentivato da chi sta a bordo”. L’attuale inquilino del Viminale ha anche spiegato le motivazioni per cui non c’erano le condizioni per far sbarcare i minore: “Perché non abbiamo fatto sbarcare subito i minori? La nave si era radicata allora in acque internazionali, poi si sosteneva anche che i minori non erano accertati come tali e questo in un contesto in cui il minore comunque si trovava in una condizione in cui qualcuno poteva provvedere alla sua tutela. Ragionare al contrario, secondo noi, significava candidarci a tutta l’assistenza di quei minori che si presentano alla nostra frontiera”.
Il pericolo terrorismo
Infine, Piantedosi ha anche parlato del pericolo terrorismo e dei rischi per la sicurezza pubblica: “Il potenziale rischio dell’arrivo di soggetti legati al terrorismo era ciclico e veniva sottolineato nei comitati per l’ordine e la sicurezza ai quali erano presenti i rappresentanti delle forze dell’ordine e del comparto intelligence. Ci poteva essere il rischio che venisse meno ogni forma di premunizione di fronte a un accesso incontrollato di persone, in questo caso migranti. Tra l’altro non c’era solo il caso ipotetico di terrorista a bordo, ma anche casi in cui il processo di radicalizzazione inizia dopo lo sbarco: ricordo il caso dell’attentatore di Berlino che entrò a Lampedusa. Così come era successo il reingresso di persone precedentemente espulse”. La testimonianza dell’attuale ministro degli Interni sembra confermare quello che già sapevamo sul caso Open Arms, ovvero che quello contro Salvini è un processo semplicemente assurdo, dettato più da diktat immigrazionisti che da ragioni concrete.
Michele Iozzino