Roma, 21 feb – “Remigrazione” sembra essere una delle parole chiave del dibattito politico europeo per il 2025. Esponenti di partiti di tutta Europa hanno inserito questo concetto nella propria agenda politica. Raccogliendo consensi anche tra i più giovani. Ma che cosa si intende con il concetto di remigrazione? Qual è la sua portata e che cosa mira ad ottenere chi lo utilizza nel proprio lessico politico?
Dalla Francia degli anni ’60 all’Europa di oggi
Il termine, coniato e utilizzato per la prima volta dall’attivista identitario austriaco Martin Sellner, si riferisce al rimpatrio forzoso di tutti quegli immigrati irregolari la cui mancata integrazione è causa di problemi di ordine economico e sociale in molti paesi europei, e alla costruzione di meccanismi di incentivo al ritorno nei propri paesi d’origine di quegli immigrati, anche di seconda o terza generazione, i quali rifiutino ogni forma di integrazione nella nazione che li ospita. Il concetto di remigrazione non è nuovo però. È stato coniato in Francia negli anni ’60 ed essendo già stato utilizzato fin dall’inizio dello scorso decennio in molti paesi europei. È salito all’onore delle cronache nel 2023 quando venne alla luce un’inchiesta riguardante un piano, progettato anche da alcuni esponenti di AfD, volto al rimpatrio di circa due milioni di immigrati.
Da allora, nonostante siano passati solo due anni, lo scenario politico europeo è notevolmente mutato. Inizialmente, l’idea di un piano del genere aveva scatenato proteste e indignazione generali. Ma con l’esponenziale crescita dei movimenti radicali e anti-immigrazionisti, in tutta Europa il concetto di remigrazione è stato assunto in numerosi programmi politici anche istituzionali. Ed è diventato centrale ora più che mai: dall’AfD in Germania al FPO austriaco, da Vox in Spagna a CasaPound qui in Italia sono sempre di più le forze politiche a chiedere un piano di rimpatrio per gli immigrati irregolari.
Tra disposizioni comunitarie e legge Bossi-Fini
Se, però, i confini del concetto di remigrazione risultano ben delineati e la sua diffusione nel dibattito pubblico non sembra destinata ad arrestarsi, soprattutto in quei paesi frequentemente vittime di attentati di matrice islamista, meno chiare risultano le modalità con le quali queste politiche dovrebbero essere portate avanti. Se Trump nei primi giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca ha già provveduto a rimpatriare centinaia di immigrati centro-americani con foto che hanno fatto il giro del mondo, più complessa potrebbe rivelarsi la situazione per chi, in Italia, auspica una politica di allontanamento di massa degli immigrati più o meno irregolari.
L’Italia, infatti, in quanto membro dell’Unione Europea si trova a dover applicare le disposizioni comunitarie in materia di immigrazione e in particolare la Direttiva Rimpatri del 2008, la quale ha sostanzialmente distinto tra rientri volontari, da incentivarsi con misure economiche e accordi transnazionali ad iniziativa dei singoli stati membri, e rimpatri forzati, i cui requisiti risultano particolarmente stringenti. In particolar modo per quanto riguarda il cosiddetto “principio del non-refoulement”, il divieto di rimpatrio in paesi considerati pericolosi. Ovverosia la buona parte dei paesi di provenienza degli immigrati.
A livello nazionale, invece, la disciplina è dettata dal Testo Unico sull’Immigrazione il cui complesso normativo è dettato in particolar modo dalle modifiche apportate dalla famigerata legge Bossi-Fini del 2002.
La Remigrazione e i limiti della legislazione vigente
La normativa nazionale, seppur rafforzata nel contrasto all’immigrazione clandestina tramite i più recenti Decreti Sicurezza, prevede infatti delle procedure precise di identificazione, fermo e accompagnamento alla frontiera degli immigrati irregolari. Seppur teoricamente funzionali, sono progressivamente diventate obsolete con l’aumentare dei flussi migratori. In particolare per la loro lentezza e impossibilità di attuazione. Fermo restando la previsione di respingimento anche immediato e in acque extraterritoriali degli irregolari, la mancanza di accordi bilaterali efficaci, la necessità di garantire il rispetto di tutta una serie di diritti, tra cui quello ad un giusto processo e all’esperimento di una tutela d’impugnazione giurisdizionale, e l’incapacità di impedire l’arrivo sul territorio nazionale degli immigrati rimangono il maggior ostacolo alla risoluzione delle problematiche legate all’arrivo di immigrati irregolari.
Elemento cardine della normativa in materia di fermo ed espulsione degli immigrati è quello dei Centri di Permanenza per i Rimpatri. Sono i famosi CPR, attualmente 10 dislocati sull’intero territorio nazionale. Sono strutture adibite al trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. Il loro funzionamento è a dir poco lacunoso. Nel 2023 infatti sono stati rimpatriati nel 2023 meno di tremila immigrati. A fronte di quasi trenta mila ordini di espulsione. E i costi per il mantenimento nei centri sfiorano i cinquanta mila euro a migrante.
Cpr inadeguati e normative inefficaci
Punto cruciale della normativa in tema di trattenimento nei CPR delle persone colpite da ordine di espulsione è, oltre alla totale inadeguatezza di numerose strutture che rendono la capienza media di poco superiore al 50%, la previsione legislativa relativa al tempo massimo di trattenimento. Il Decreto Sicurezza del 2018 ha infatti aumentato il termine per il trattenimento degli immigrati, oltre il quale essi devono essere rilasciati. Da 90 a 180 giorni. Risulta chiaro, quindi, come le lungaggini burocratiche e giurisdizionali rendano arduo espellere gli immigrati entro tali termini. Per cui molti di loro vengono sostanzialmente lasciati liberi e senza alcun controllo nel territorio nazionale.
Il quadro delineato dalla normativa europea, nazionale e anche internazionale, in particolare per il tramite del Protocollo del 1967 che impedisce l’espulsione o il rimpatrio di una persona verso uno Stato in cui la sua vita o la sua libertà possano essere seriamente minacciate, rende evidente la difficoltà che incontrerebbe un progetto di remigrazione. Sarebbe necessario, infatti, stipulare accordi e intese bilaterali non solo volte a concordare le modalità di rimpatrio degli stranieri irregolari. Ma più in generale a creare delle situazioni di stabilità nelle aree d’origine del fenomeno migratorio. Vigilando affinché questi accordi vengano rispettati. Se, infatti, gli accordi stipulati dall’Italia con le nazioni di provenienza degli immigrati sono numerosi (tra gli altri Tunisia, Nigeria, Egitto, Marocco, Senegal, ecc.), spesso questi risultano inefficaci. E privi di alcun meccanismo di esecuzione forzosa.
Remigrazione: il ruolo (centrale) dell’Italia
Risulta, quindi, ancora una volta fondamentale e impellente l’esigenza di vedere un’Italia protagonista della politica internazionale. Una Nazione in grado di dialogare con i paesi dell’Africa e del Medio Oriente con cui è storica la nostra collaborazione e di far valere il proprio peso specifico. Esigenza che permetterebbe, inoltre, all’Italia di assumere un ruolo di leadership dell’Unione. Ma che potrebbe realizzarsi soltanto qualora l’Italia e l’Europa intera fossero in grado di smarcarsi dall’influenza americana. E di fare fronte comune contro i suoi due più grandi rivali regionali. Ossia la Russia e la Turchia, che al momento sono molto più presenti (anche militarmente) e influenti in aree chiave come la Siria o la Libia.
Quale sia il destino dell’idea di remigrazione non ci è dato da sapere. Né possiamo prevedere se e in che misura politiche di questo tipo verranno attuate dai governi europei. Al momento, infatti, questo concetto si trova in uno stato embrionale e, in particolare in Italia, è ancora poco diffuso. Ciò che è certo è che il tema dell’allontanamento degli irregolari è ormai sempre più impellente. Tanto quanto l’interrogativo su come poter porre un argine al fenomeno migratorio in Europa. Se, infatti, fino a qualche anno fa a schierarsi contro l’immigrazione sembravano essere solo alcune frange della popolazione, ostracizzate e quasi criminalizzate dalla società civile, negli ultimi anni è sempre più trasversale l’idea che il globalismo e l’immigrazione di massa abbiano danneggiato sia il tessuto economico che quello sociale del vecchio continente.
Edoardo Padovani