Chiodo di pelle nera, stivaletti e pantaloncini di jeans sfrangiati. Era decisamente un bel vedere Sanna Marin, la premier finlandese, in versione festival di Ruisrock, di Turku. Uno scatto che ha fatto il giro del mondo, dopo che la stessa politica lo ha postato sui suoi social. Per spiegare il fascismo di quella foto, i media si sono inventati le categorie più improbabili («carattere», «libertà», etc), pur di non ammettere, molto semplicemente, che l’immagine risulta magnetica semplicemente perché Sanna Marin è bellissima. Un dato autoevidente, una verità incardinata in un corpo, eppure ormai divenuta un tabù per la sensibilità dominante, che l’avverte ma non può nominarla, quindi deve inventarsi complicate circonvoluzioni verbali per spiegare che, di quell’immagine, a colpire è la «determinazione» della premier finlandese, non la sua bellezza statuaria.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di agosto 2022
Il problema è che di questa sensibilità bigotta è figlia anche la stessa Marin, che è notoriamente impregnata di ideologia femminista, arcobaleno e green, quella stessa ideologia che criminalizza qualsiasi sguardo maschile desiderante che si posi su un corpo di donna. Eppure lei per prima non sembra affatto inconsapevole della forza del proprio corpo: fosse stata bassa, tarchiata, sgraziata, avrebbe lo stesso dato grande rilevanza a quel momento privato, peraltro con una foto studiata e che sembra avere ben poco di spontaneo?
Il caso Sanna Marin
Il corpo del sovrano è uno dei grandi temi della storia della politica (pensiamo solo a I due corpi del re, di Ernst H. Kantorowicz). La nostra epoca ha voluto ridurre la politica a fattore puramente procedurale, burocratico, liquidando ogni discorso sul carisma come retaggio fascistoide. Poiché i capi fascisti – tutti tranne Adolf Hilter, in verità – fecero largo uso del proprio corpo per trasmettere visivamente l’idea di una energia, di una dinamicità, di una freschezza che automaticamente doveva trasferirsi al corpo della comunità, la politica del dopoguerra ha prodotto per lo più «capi senza corpi». Chi ricorda il corpo di De Gasperi o di Berlinguer? Chi saprebbe ricondurre a una qualche dimensione corporea Moro o Fanfani? Di Aldo Moro, anzi, ci si ricorda la foto di lui in giacca e cravatta sulla spiaggia e spesso a lodare quel grottesco eccesso di zelo sono gli stessi che incensano Sanna Marin con il chiodo, senza accorgersi della contraddizione.
Nella prima repubblica, tra le poche eccezioni a questo schema, va ricordato Bettino Craxi, leader ben piantato in una dimensione somatica. Non a caso lo chiamavano «cinghialone». E ci si ricorda delle pagelle sulle sue qualità amatorie vergate da Moana Pozzi. La seconda repubblica è stata decisamente più corporea della prima, complice, in questi ultimi anni, la disintermediazione portata dai social. L’esempio più noto è Matteo Salvini, corpo politico dalla nota voracità e la cui silhouette balneare fece da sfondo alla tragicomica crisi di governo che pose fine al Conte I.
Un uso del corpo che fu più volte rimproverato al leader leghista in quanto «inappropriato» a un uomo delle istituzioni, sempre dagli stessi che vanno in visibilio per Sanna Marin o che, ai tempi di Obama, andavano in deliquio per il presidente nero che giocava a basket. Viene il sospetto che a Salvini venisse rimproverata, più che la ostentata portata somatica del suo messaggio, la mancanza di grazia. Ma si tratta di un’obiezione, a ben vedere, molto poco democratica.
Cavalcare… l’orso
Sulla scena internazionale, leader corporeo per eccellenza è Vladimir Putin. Il presidente russo, forte anche della sua formazione nel Kgb, non sembra poter rinunciare all’iconografia machista, quella dell’uomo che non deve chiedere mai e che sa sempre come cavarsela in ogni situazione. Nel 2018, per dire, lo abbiamo visto mentre guidava un convoglio di camion durante l’inaugurazione di un ponte in Crimea. Ma in passato è stato…